Gli studi di storia medievale hanno conosciuto nell’ultimo secolo uno sviluppo straordinario. Uno dei temi ricorrenti di questa abbondante letteratura storiografia è stata l’integrale revisione, anzi la demolizione totale del concetto illuministico del Medioevo come “età dei secoli bui”, come età oscura di ignoranza, superstizione e arretratezza che, secondo lo schema didattico a lungo seguito da molti manuali di storia adottati nelle scuole italiane di ogni ordine e grado, avrebbe preceduto l’Umanesimo, il Rinascimento, l’alba del pensiero moderno.
Una non minore straordinaria affermazione è stata contemporaneamente seguita nel cercare di individuare proprio nel Medioevo le origini lontane di alcune strutture elementari della società moderna. Sono così fioriti studi sul pensiero scientifico, sulla matematica, sullo sviluppo degli scambi e dell’economia monetaria, sulle tecniche produttive, sullo sviluppo della cultura e della società urbana. Nel cercare le radici della scienza economica molti studiosi hanno finito per concentrare la loro attenzione sulle dottrine sviluppate a partire dal XV secolo in Inghilterra e nei Paesi del Nord-Europa. Fin troppo note sono le tesi di Max Weber, che individua nella riforma calvinista il seme dello sviluppo del capitalismo moderno.
In realtà, la scienza economica affonda saldamente le sue radici nel basso Medioevo (si rinvia all’opera monumentale del compianto professor Oscar Nuccio). Non stupisce quindi il fatto che a partire dal XIII secolo si formino e si consolidino progressivamente i semi del futuro sviluppo dell’economia teorica. Vi sono tematiche, come le libertà politiche, la proprietà privata, l’utilità sociale della mercatura, l’interesse, il valore, il giusto prezzo, la moneta che furono affrontate non come pura astrazione teorica, ma nelle loro implicazioni pratiche.
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Per secoli, perciò, l’area del Mediterraneo ha detenuto il primato dello sviluppo economico ed ha fornito l’ambiente adatto alla nascita dell’ homo oeconomicus inteso sì come soggetto razionale che persegue il proprio vantaggio, ma in un contesto teologico-morale, la cui dimensione antropologica di riferimento rinvia alla nozione "prasseologica" ben più ampia di homo agens. L’homo oeconomicus che scaturisce dalla dottrina economica medioevale è inserito in un contesto dottrinale in ragione del quale l’economia è un’arte architettonica ed il mercato è inteso in senso processuale e non posizionale, dinamico anziché statico.
Con ciò intendiamo dire che nell’opera di umanisti, civilisti e canonisti si evince una nozione di mercato come insieme delle relazioni in forza delle quali ciascuno tenta di soddisfare le proprie aspettative ricorrendo alla soddisfazione delle aspettative di altri ed il cum-petere è inteso come il "cercare insieme" al fine di superare di volta in volta (e mai definitivamente) l’inevitabile limite che contraddistingue il genere umano.
Dunque, condanne e filippiche a parte, le virtù mercantili si impongono. Sta per formarsi un nuovo sistema economico, il capitalismo, che per avviarsi e svilupparsi, ha bisogno, se non di tecniche nuove, per lo meno di un uso massiccio di pratiche da sempre condannate dalla Chiesa, i cui anatemi però vennero in molti casi superati, da un lato, con l’interpretazione delle singole tipologie di prestito e di interesse: damnum emergens, lucrum cessans, poena conventionalis, dall’altro, da una sottile analisi che traghettò il concetto di "capitale monetario" dalla nozione di somma di denaro destinato agli affari: capita, ad elemento vivo la cui forza risiede nel suo carattere seminale: caput.
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L’avvio di tale analisi spetta all’originale idea del teologo Francescano Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298) sul capitale, sull’interesse e sul giusto prezzo; quest’ultimo venne analizzato dall’Olivi a partire da una teoria soggettiva del valore: la complacibilitas (desiderabilità), elemento essenziale per la comprensione della moderna teoria dell’utilità marginale decrescente. Alla base del pensiero economico oliviano c’è la sua teoria del capitale. Esso viene inteso come somma di denaro che, essendo destinato agli affari, contiene già in sé un "seme di lucro"; questa presenza seminale costituisce il valore in più ("superadiunctus") che il debitore deve restituire insieme alla somma ricevuta in prestito.
L’idea oliviana, ampliata e accolta dalla scolastica francescana, si fece strada ed ebbe larghissima diffusione e fece testo nel campo della teologia morale grazie ai sermoni e alle prediche del francescano San Bernardino da Siena e del domenicano Sant’Antonino da Firenze, finché la scuola teologica dei gesuiti nel XVII secolo la presenterà come dottrina comune dei moralisti, a cui attinse, più tardi, il filosofo morale Adam Smith.
Pertanto, nella tradizione cattolica, esiste un’importante scuola di pensiero, quella francescana, che ha recato un contributo fondamentale all’analisi teorica dell’economia di mercato, di cui, peraltro, l’economia sociale di mercato di Röpke in Germania e di Einaudi e di Sturzo in Italia può essere considerata, in qualche misura, continuatrice ed erede. Che questo basti per parlare di "radici cattoliche" del capitalismo? Dipende dal significato che diamo a questa espressione.
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Se per capitalismo intendiamo un modello di produzione fondato sul ruolo positivo svolto dalle imprese, dal mercato, dalla proprietà privata e dal libero, responsabile e creativo agire della persona, ancorato ad un saldo sistema giuridico e ad un chiaro orizzonte ideale, al centro del quale è posta l’opera del più affascinante, raffinato e prezioso fattore di produzione: il capitale umano, credo che sia difficile non cogliere propria nella tradizione greca, romana ed infine cristiana, le radici stesse del capitalismo.
Ad ogni modo, non è un caso che le idee espresse dai teologi e dai canonisti francescani abbiano favorito il sorgere dell’economia di mercato e delle sue caratteristiche istituzioni. Diedero una svolta in senso soggettivistico alla teoria del valore (complacibilitas) e dinamico (seminale) alla nozione di capitale, e questo è il loro indubbio merito storico.
Oggi, fortunatamente, la consapevolezza dell’apporto della tradizione cristiana al sorgere delle istituzioni liberali, per molti che operano sul versante della riflessione economica, non rappresenta più una posizione scientificamente clandestina. D’altra parte, la stessa consapevolezza è divenuta parte integrante della riflessione intorno alla dottrina sociale della Chiesa e, accanto ad una teologia e ad una filosofia del lavoro, non mancano serie e raffinate analisi teologiche, antropologiche e filosofiche sul mondo dell’impresa e di come quest’ultima possa contribuire in modo unico ad un autentico ed integrale sviluppo umano; ossia ad uno sviluppo intensivo, stabile e duraturo.