Non c’è bisogno di scrivere che la situazione è in movimento. In guerra niente è concluso, salvo la morte di quelli che giacciono a terra. Non si tratta di un attentato terroristico, ma di un attacco concentrico di una potenza nemica contro l’Europa, colpita in una delle sue capitali. Ci è voluto del tempo, questa notta perché si avesse il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, e questo dice la totale impreparazione dei nostri popoli a capire in che guai siamo. Si chiama stato islamico, e il marchio è il grido “Allah è grande”. Non siamo più al tempo della strategia di Bin Laden e di Al Qaeda. Quegli assassini operavano con tecniche micidiali, ma con l’obiettivo di umiliare l’Occidente colpendo dei simboli. Invece i jihadisti del nuovo tipo agiscono con tecniche militari da guerriglia urbana. In contemporanea si muovono con mitra e granate, per prendere possesso della vita quotidiana seminandovi vittime come in un sacrificio umano di una religione spaventosa.
C’è una regia evidente coordinata da fuori della Francia ma con nodi di comunicazione che attraversano tutta l’Europa. Ci domandiamo: questa “guerra mondiale a pezzi” (Francesco) come può essere fermata? Di certo non come si sta facendo ora. Il famoso controllo totale delle comunicazioni in rete attraverso satelliti che captano anche i sospiri nelle cantine si palesa come una boutade. I servizi segreti americani e della Nato riescono a contare i peli della barba dei passanti, ma com’è possibile che decine di persone armate abbiano potuto sconvolgere Parigi, spostandosi, scegliendo guerriglieri, sincronizzandosi, e non si sia stati capaci di interferire?
Com’è ovvio i pensieri, mentre il sangue è caldo e il pericolo ancora incombente, cercano vie d’uscita che non sia una risposta di guerra alla guerra portataci in casa. E non se ne trovano. I cosiddetti statisti radunati nei vari G7 e G20 non hanno saputo trovare quelle alleanze e quel coordinamento indispensabile per non lasciare mano libera al terrore. Sono ripiegati sul cosiddetto interesse nazionale, senza capire che oggi l’unico interesse nazionale è smetterla di puntare sul primato o sul vantaggio di posizione del proprio Paese per votarsi a una causa globale.
Nella guerra mondiale a pezzi non ci si difende e non si deve cercare una pace a pezzi, altrimenti ci fanno a pezzettini. Vengono in mente gli abitanti di Aleppo che vivono da anni la situazione di Parigi. Chi resta cerca di costruire una solidarietà e un’amicizia che danno la forza di resistere. E trovano nella fede in Dio e nella testimonianza dei santi una strada per sconfiggere l’odio mortale di chi li vuole uccidere o sottomettere. Altri cercano la fuga dalla guerra venendo in Europa. Ma noi dove possiamo fuggire? Noi dobbiamo lottare qui, credendo di più in quello che ci è stato insegnato quando eravamo piccoli e ci insegnavano che l’amore è più forte.