Il rinnovo del vertice di Intesa Sanpaolo, da subito, si è proposto come metafora di un ruvido aggiustamento in corso nell’establishment italiano, sul crinale strutturale tra politica e banche e lungo la nuova frontiera del “federalismo di fatto”.
L’evento scatenante è stata l’affermazione – inattesa nella misura – della Lega Nord alle ultime amministrative: in Veneto e soprattutto in Piemonte. È stato qui, in particolare, che la disfatta di Mercedes Bresso contro Roberto Cota ha gettato nel panico il vertice del Pd locale: vecchia roccaforte Pci-Ds e di fatto unico caposaldo settentrionale del centrosinistra.
La reazione – tutta politica – del sindaco di Torino Sergio Chiamparino (in scadenza l’anno prossimo) si è rivelata rozza nelle forme – tipica di chi è nato funzionario del Pci – ma non priva di realismo nella sostanza.
L’improvvisa sfiducia alla riconferma di Enrico Salza come presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo (come “plenipotenziario” della Compagnia e di Torino) è stata una brutale presa d’atto che l’architettura dei poteri torinesi (e non solo) lungo l’intero dopoguerra è definitivamente crollata. Non c’è più la monarchia capitalista degli Agnelli, le cui decine di migliaia di dipendenti del sistema Fiat erano d’altronde una solidissima piattaforma maggioritaria per Pci e Cgil.
L’Italia consociativa degli anni ’70 e ’80 e quella dell’ultima concertazione negli anni ’90 aveva in fondo il suo modello nell’Azienda-Torino: dove Enrico Salza (un liberaldemocratico sempre tuttavia vicino a Romano Prodi) ha svolto attraverso il “suo” San Paolo di Torino il ruolo terzo – e trasversale – che la galassia Mediobanca ha continuato a esercitare a Milano e in Italia. Ora invece niente più Fiat, niente più Pci, e in fondo neppure più Sanpaolo, fuso tre anni fa in Intesa. Resta solo la Compagnia, che condivide con la Cariplo la leadership dimensionale tra le fondazioni italiane.
È lì che – alla vigilia dello tsunami politico-creditizio di primavera – siede ancora un’espressione puntuale dell’ultimo “compromesso storico” tra la famiglia Agnelli e la città delle sue fabbriche: Angelo Benessia, lui pure legale dell’universo Fiat, succeduto due anni fa direttamente a Franzo Grande Stevens, l’“avvocato dell’Avvocato”. Lo ha indicato il sindaco Chiamparino, cui la governance materiale della Compagnia attribuisce la “golden share” sulla nomina del presidente.
Salza (contrario a Benessia e favorevole a un’espressione classica del terzismo torinese come Gustavo Zagrebelsky) resta intanto in banca, a far da contrappeso a Giovanni Bazoli (presidente “duale” del consiglio di sorveglianza) e a vigilare sulle mosse dell’amministratore delegato Corrado Passera. Con il quale i rapporti non sono facilissimi, quando allontana il direttore generale “torinese” Pietro Modiano, ex tecnico milanese di scuola UniCredit, ma soprattutto marito della “vip” Ds Barbara Pollastrini.
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A Torino il malumore aumenta, ma Salza continua a confidare sul suo tradizionale potere personale di mediazione e garanzia. A Chiamparino però la situazione piace sempre meno. Il sindaco torinese è stato a un passo dalla candidatura a segretario Pd dopo Walter Veltroni, poi ha sondato la via del Pd “federale” con altri leader del Nord. Quando la Lega mette piede a Torino nel palazzo della Regione, non può più attendere: forza la candidatura di Domenico Siniscalco al consiglio di gestione Intesa, che gli garantisca una presenza diretta nella stanza dei bottoni della banca e nel contempo un armistizio con Giulio Tremonti, plenipotenziario economico della Lega.
Ma l’operazione non funziona: Tremonti non ha bisogno di sfondare in Intesa con Siniscalco, che per di più gli succedette al ministero dell’Economia quando il premier Berlusconi cedette nel 2004 a Gianfranco Fini. E la Lega, all’attacco sulle Fondazioni, ha intanto già ottenuto primi spazi in Cariplo Intesa senza troppo strepito: Luca Galli e Rocco Corigliano (due nuove consiglieri d’amministrazione su nove) rispondono – per la sottolineatura dello stesso presidente Giuseppe Guazzetti – ai mutati pesi nelle amministrazioni locali lombarde che autonomamente esprimono i membri dell’organo di indirizzo.
E vicino alla Lega è anche Marcello Sala, nuovo vicepresidente del consiglio di gestione di Intesa. Guzzetti e Bazoli confermano di avere minori difficoltà a dialogare con la forza di territorio leghista che con il Pdl più berlusconiano: partito di plastica sempre meno lombardo e “partito degli affari” più che della piccola impresa.
Chiamparino offre in ogni caso a Tremonti un’arma inutile oltre che impropria. E così facendo delegittima Benessia, che infatti non riesce a far passare Siniscalco alla stretta nel consiglio della Compagnia San Paolo. Nel frattempo la componente milanese insorge contro gli “intrighi torinesi” che debordano sulle pagine dei quotidiani con lo stesso impatto di intercettazioni telefoniche giudiziarie.
Sullo sfondo spicca la debolezza della classe dirigente torinese, che infatti riesce alla fine a esprimere per la banca solo due accademici di onesto curriculum: Elsa Fornero (esperta di previdenza sociale) come vice di Bazoli in consiglio di sorveglianza e lo sconosciuto matematico Andrea Beltratti come presidente del consiglio di gestione.
Salza, estromesso, influisce però ancora su un numero consistente di consiglieri della Compagnia e non può che reagire di conseguenza, facendo sfiduciare apertamente Benessia. Mercoledì 12 è quindi in calendario una prima “resa dei conti” in Compagnia: di fatto una seduta di autocoscienza dei maggiorenti torinesi in bilico tra le uniche mura rimaste in piedi attorno a loro dopo il terremoto leghista.
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Benessia si dimetterà? Sarà revocato? Chi andrà al suo posto? Ogni pronostico è azzardato. Salza cercherà una rivalsa e ha i numeri per farlo: ma si spingerà a voler scalzare personalmente Benessia? Chiamparino glielo permetterà. Già, il sindaco dovrebbe sfiduciare il “suo” presidente: e accettare il ritorno al vertice della “sua” Compagnia di un personaggio certo un po’ logorato, ma tutt’altro che esaurito nella capacità di manovra sul futuro del Nordovest.
E poi l’anno prossimo il sindaco si ripresenterà per il Comune, simbolo di una “nuova Resistenza” per tentare una “nuova Liberazione”? Oppure sta meditando un balzo definitivo nella “nuova politica”? Qui le Fondazioni bancarie sono molto, forse tutto: lo dimostra lo sviluppo del tremontismo come ricostruzione di una nuova “sussidiarietà bancaria” attraverso la Cassa depositi e prestiti, i fondi di sviluppo, la Banca del Sud.
Lo dimostra lo stesso pressing di Umberto Bossi sulle Fondazioni: vere architravi di una “finanza federalista qui e ora”, soprattutto con molti Comuni disastrati dalla sbornia dei derivati. Chiamparino prepara dunque il passaggio al vertice della Compagnia? Torino si riscoprirebbe come la grande Siena: dove il sindaco è il plenipotenziario della Fondazione Montepaschi e della banca. Due città a ferrea amministrazione Pd (Pci): utile spunto di riflessione per chi continua ad agitare lo spettro del ritorno nel credito di uno statalismo “vetero-democristiano”.