Possibile che ci sia ancora qualcuno in Italia che ritenga il terrorismo, la propaganda e il reclutamento di jihadisti per il combattimento come qualcosa che non si fa, ma in veniale? La risposta è sì. Infatti accade. E la cosa è tanto più significativa perché a pensarla così è un giudice di Palermo. La polizia dopo indagini accurate ha individuato una fiancheggiatrice di Al Qaeda. Non una povera creatura sperduta nelle periferie, come vuole la solita solfa giustificazionista, ma una ricercatrice di economia, finanziata con duemila euro al mese dall’ambasciata libica.
La Procura ha ordinato il fermo e la richiesta di custodia cautelare. La dottoressa Khagdia Shabbi, 45 anni, è però stata prontamente rilasciata dal giudice per le indagini preliminari, che ha ritenuto sì consistenti e gravi gli indizi di reato, ma non maneggiando essa direttamente esplosivo ma solo parole e incitamenti perché altri sparino, è ritenuta poco pericolosa. Dunque può restare libera, con libertà di comunicazione, basta che resti in città e non esca di notte.
Noi siano contrari alla prigione prima della sentenza definitiva, infatti la custodia cautelare è spesso stata adoperata come pena preventiva. La custodia cautelare è indispensabile se esiste un rischio serio per la comunità. Insomma: nel caso di delitti di sangue è il caso che uno sia tenuto lontano dalla tentazione. Il terrorismo è un delitto di sangue al quadrato, al cubo. La sua organizzazione implica meccanismi oliati alla perfezione, cervelli fini, e solo alla fine disgraziati pronti a fare i kamikaze. Ritenere veniale, trattare con benevolenza il primo anello, quello del reclutamento, quello della fornitura ideologica di motivazioni all’assassinio, è esattamente quello che lo stato islamico si aspetta da un nemico flaccido e da una magistratura di tipo spagnolesco. Crudele con i cittadini inermi, pieghevole con le organizzazioni spietate. Le gride manzoniane condannavano aspramente i delitti dei bravi, ma in pratica c’era sempre il modo di farla passare liscia ai manigoldi, e invece grazie a quelle medesime carte di torturare i vari Renzo Tramaglino. Non è il primo caso dell’uso jihadista della giustizia. Ci sono in Italia avvocati specializzati nel far condannare da tribunali civili a risarcimenti principeschi giornali e giornalisti che osino mettere in guardia da certe organizzazioni e da certi imam.
Le predicazioni dell’odio e gli interventi inneggianti ai “martiri”, se vengono criticati e classificati come propaganda terroristica, diventano fonti di guadagno ottimo e abbondante per i medesimi predicatori di odio. La magistratura in questo caso è inflessibile: non contro chi inneggia alla jihad, ma contro chi li denuncia.
Ci ricordiamo bene un precedente, rispetto a questa storia di lassismo palermitano. Gli autori degli attentati del 13 novembre a Parigi erano passati indenni dalla valutazione dei magistrati belgi. Le garanzie essenziali del cittadino indagato sono sacre. Ma è sacro anche il diritto alla sicurezza dei cittadini minacciati da quello stesso indagato. Come se ne esce?
Il giudice serve a questo: scegliere con saggezza. Possibile che non possa esserci un po’ di equilibrio? Il caso di Palermo oltre a suscitare discredito nella magistratura, fornisce argomenti ai manettari che vorrebbero minare le basi del diritto per portarci a uno Stato di polizia, una specie di anticipo del regno del web sognato da Casaleggio e dai 5 stelle, con gabbie sulle tangenziali dove esporre come trofei i “cattivi”. Buon senso, equilibrio, consapevolezza del peso reale della propaganda nella filiera del califfato assassino. È chiedere troppo?