Di solito eravamo abituati a leggere i report delle agenzie di rating su Italia e dintorni mentre la borsa “festeggiava” con cali paurosi o con incrementi dello spread inquietanti; ieri, invece, in questa strana estate dei mercati, dalle agenzie di rating sono arrivati messaggi meno univoci del solito, ma ugualmente meritevoli di qualche riflessione, mentre la borsa chiudeva con uno spettacolare +2,5% con lo spread ai minimi da inizio luglio. La prima, in ordine di tempo, a esprimersi sull’Italia e sugli altri Paesi “periferici” è stata Moody’s; per l’agenzia di rating, Italia, Spagna e Portogallo potrebbero uscire dall’attuale situazione nel 2013, anche se il processo di risanamento è, nella migliore delle ipotesi, completo solo a metà. Per la Grecia e l’Irlanda, invece, il processo potrebbe chiudersi nel 2016. Ci sono almeno due osservazioni implicite nell’analisi di Moody’s.
La prima è che l’Italia agli occhi degli investitori sta giocando nel campionato dei periferici e che, al momento, è, al massimo, la prima degli ultimi. Che i dati sul deficit o sulla salute dell’economia, disoccupazione inclusa, siano a volte molto diversi o che, unica tra i periferici, non abbia ancora ricevuto alcun aiuto dedicato o diretto non sembra essere rilevante e l’ultimo rally dei mercati, a testimonianza di questo giudizio, sta progressivamente riducendo lo spread Btp-Bonos. Probabilmente anche la politica estera-economica italiana degli ultimi mesi ha accentuato questa “identificazione” che potrebbe essere però rischiosa se le cose dovessero di nuovo peggiorare.
La seconda osservazione implicita è che il processo di miglioramento, pure riconosciuto, e gli sforzi sono solo, secondo Moody’s, a metà di un percorso che si concluderà nel 2013. Visti i tempi che corrono, visto che tre settimane fa l’Europa era finita e morta e oggi è tutto risolto, dire 2013 significa prospettare in realtà un lungo periodo di tempo che, anche per gli ottimisti, potrebbe essere accidentato e pieno di incognite. Per questo la data indicata più che un messaggio rassicurante in cui la fine della crisi è in realtà dietro l’angolo sembra una sorta di avvertimento/warning per l’Italia e il suo processo di riforme; in particolare sembra un invito molto caldo a proseguire nella strada delle riforme e a evitare di considerare conclusi i problemi.
Proprio su quest’ultimo punto sembra concordare Fitch, secondo le parole di David Riley, manager della stessa Fitch, in un’intervista concessa a Bloomberg. Per Riley se non ci fossero progressi entro la fine dell’anno ci potrebbero essere ulteriori downgrade di Spagna e Italia. Commentando invece la situazione politica italiana, con le elezioni previste proprio nel 2013, Riley ha osservato che il governo Monti ha molta credibilità. La credibilità sui mercati non solo è una merce scarsa e difficile da ottenere, ma è molto preziosa nella fase attuale in cui il mercato non dimostra di essere particolarmente raffinato nelle analisi e in cui i movimenti finanziari e la diplomazia economica non sembrano essere dettate solo da precise valutazioni sui fondamentali economici. Sostenere, con le incognite che rimangono sull’economia, che l’attuale governo italiano, e in particolare il suo primo ministro, ha “molta credibilità” significa, neanche troppo velatamente, esprimere una preoccupazione forte sul fatto che il prossimo governo ne abbia una equiparabile e quindi consigliare di valutare molto attentamente prima di cambiare.
Se, ipotesi del tutto remota, ci fossero altri scossoni finanziari avere un primo ministro con “molta credibilità” sui mercati potrebbe fare la differenza. Sotto questo aspetto Fitch ha espresso chiaramente quello che da più parti si è già letto e sentito a proposito delle preoccupazioni internazionali sul futuro politico prossimo dell’italia. Chiedersi se le preoccupazioni di Fitch, e dei mercati, siano o meno giuste, opportune o legittime è in un certo senso inutile, perchè quello che conta e che occorre rilevare è che questo timore sull’Italia sia, attualmente, considerato prioritario. Che i mercati siano dalla parte di un particolare primo ministro non è mai un dettaglio, ma in questa fase lo schieramento sembra particolarmente importante. Il predecessore di Monti è caduto anche grazie ai colpi dello spread e quindi una campagna elettorale con candidati senza credibilità sui mercati, giusto o non giusto non importa, o con credibilità ancora da dimostrare potrebbe essere davvero “interessante” da un punto di vista finanziario e sotto i colpi dello spread alcune forze, magari anti-europeiste, potrebbero essere favorite rispetto ad altre.
D’altronde sempre Riley avverte che la recessione in italia e in Spagna sta erodendo il supporto politico a euro e politiche di austerità. Immaginiamo che l’incubo dei mercati sia un governo anti-europeista nella terza economia dell’area euro con il primo debito dell’area euro; la Grecia a questo riguardo sarebbe solo un assaggio.
Infine, questa fase dei mercati appare particolarmente difficile da leggere: volatilità ai minimi, aziende che battono i record di capitalizzazione di sempre (Apple ha strappato il record alla Microsoft del ’99) e mercato americano ai massimi degli ultimi 4 anni con l’economia non proprio in salute. A proposito, tra i protagonisti della fase attuale è meglio non dimenticare le elezioni presidenziali, americane, di novembre.
Tradizionalmente negli anni elettorali la borsa americana sale e oggi anche dall’altra parte dell’oceano c’è interesse a mantenere viva l’area euro altrimenti i mercati scendono, l’economia peggiora e la gente se lo ricorda in cabina elettorale (tutto il mondo è Paese). Meglio ricordarselo, perchè da novembre questa spinta, assolutamente non secondaria nelle vicende europee degli utlimi mesi, potrebbe cessare.