Dopo la decisione n. 18353, del 27 agosto scorso (vedasi in merito l’articolo di Cesare Pozzoli su queste pagine), le Sezioni unite della Cassazione tornano a occuparsi della disciplina della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Lo hanno fatto con la sentenza n. 19665 del 18 settembre scorso con cui è stata data soluzione alla seguente quesito di diritto: «Se, in conseguenza di una sentenza dichiarativa dell’illegittimità di un licenziamento, con ordine di reintegra del lavoratore, il datore di lavoro sia tenuto nei confronti dell’Inps, con riferimento al periodo che è intercorso fra il licenziamento e l’effettiva reintegra del lavoratore, a pagare le sanzioni civili connesse all’omissione contributiva, ai sensi della l. n. 388 del 2000, art. 116».
Al riguardo, si deve ricordare che quest’ultima disposizione, al comma 8, lett. a) e b), nel caso di mancato, ritardato o parziale pagamento dei contributi previdenziali, distingue l’omissione dall’evasione contributiva, applicandovi sanzioni civili differenziate. La prima si verifica «nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare sia rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie», l’altra, più grave, «è configurabile in caso di registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, ossia – chiarisce la medesima disposizione – nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulti rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate».
Ora, a seguito del licenziamento e fintanto che non intervenga l’ordine del giudice di reintegrazione, «non vi sono le prescritte denunce periodiche dei contributi dovuti per il lavoratore licenziato proprio perché questo non è più indicato tra i lavoratori occupati dal datore di lavoro e quindi si fuoriesce dalla fattispecie generale dell’art. 116, comma 8». Tuttavia, poiché la sentenza giudiziale “cancella” dal momento dell’intimazione il licenziamento, ecco che si pone il problema di quale sia il regime contributivo di quel periodo (licenziamento/reintegra), di fatto non lavorato, ma nel quale sussisteva, comunque, il rapporto di lavoro.
In realtà, non è dubbia l’esistenza dell’obbligo contributivo, altresì commisurato alla retribuzione alla quale il lavoratore avrebbe avuto diritto ove il rapporto non fosse stato interrotto a causa dell’illegittimo licenziamento. Essa è stata dapprima affermata dalla Corte costituzionale (sentenza n. 7 del 1986), successivamente prevista dall’art. 18, comma 4, come modificato dalla l. n. 108 del 1990, e da ultimo confermata dalla riscrittura della disposizione ad opera della l. n. 92 del 2012. Pertanto, per effetto dell’ordine di reintegrazione, il datore è tenuto: a) a ricostituire per il passato la posizione previdenziale del lavoratore, illegittimamente interrotta dal licenziamento inefficace, nullo o annullabile; b) al versamento dei contributi periodici maturati periodicamente; c) alla denuncia della contribuzione pregressa e di quella futura.
Ne consegue che dal momento dell’ordine di reintegra, qualora tali obblighi non siano adempiuti, potrà verificarsi l’ordinaria fattispecie dell’omissione o dell’evasione contributiva, di cui al predetto art. 116, comma 8. Fino alla riforma del 2012, invece, la legge non chiariva se l’assenza di denunce e di versamenti contributivi nel periodo tra il licenziamento e l’ordine di reintegra configurasse un’omissione o un’evasione, oppure nessuna delle due fattispecie, in tal caso non risultando soggetta a sanzioni.
Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità era divisa ed è questo l’aspetto ora risolto dalle Sezioni unite. Secondo un orientamento (Cass. 1 aprile 2009, n. 7934), infatti, la situazione in esame non rientra in nessuna delle due fattispecie di evasione od omissione, né alcuna sanzione è applicabile per il ritardato versamento. Ciò perché «l’obbligazione contributiva, al momento della sua periodica scadenza per i lavoratori occupati, non sussisteva per il lavoratore licenziato essendo essa venuta meno a causa della cessazione del rapporto di lavoro; né poteva risorgere se non al momento in cui il rapporto di lavoro sarebbe stato ripristinato a seguito dell’ordine di reintegrazione». Insomma, anche volendo, il datore non poteva pagare i contributi. Per contro, secondo altra decisione (Cass., 13 gennaio 2012, n. 402) sussisterebbe l’omissione contributiva, perché l’obbligazione contributiva, sorgendo contestualmente alla ricorrenza dell’obbligazione retributiva, ne segue le vicende e dunque subisce l’effetto retroattivo della pronuncia di annullamento del licenziamento illegittimamente intimato.
Spiegano ora le Sezioni unite che la disciplina ordinaria di cui all’art. 116, comma 8, è applicabile soltanto dopo la ricostituzione del rapporto previdenziale a seguito dell’ordine di reintegra, mentre per il periodo precedente sovviene una regola speciale: nel silenzio dell’art. 18 dello Statuto dei lavorati al riguardo, l’inadempimento contributivo «non poteva essere sanzionato altrimenti che con gli interessi moratori come per le obbligazioni pecuniarie in genere». Infatti, fino all’ordine di reintegrazione il datore di lavoro neppure avrebbe potuto pagare i contributi previdenziali in mancanza di un rapporto di lavoro in corso e di una retribuzione erogata su cui calcolare i contributi.
Tuttavia, questa soluzione viene riconsiderata alla luce di due elementi. Il primo è la diversa natura della sentenza di inefficacia o nullità del licenziamento, per vizio di forma o discriminazione, rispetto a quella di annullamento per mancanza di giusta causa o giustificato motivo: dichiarativa, con efficacia ripristinatoria ex tunc, anche del rapporto previdenziale, l’una, costitutiva, l’altra. Il secondo elemento è il regime sanzionatorio differenziato previsto dal nuovo testo dell’art. 18.
Per il licenziamento inefficace o nullo, infatti, il comma 2 sancisce, oltre la reintegrazione, la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore e al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, formula identica a quella interpretata dalla sentenza in esame. Per il licenziamento annullabile, alla reintegrazione e al pagamento di un’indennità risarcitoria si accompagna la condanna «al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative».
Pertanto, collegando i due elementi si ha che in caso di sentenza dichiarativa «l’obbligo contributivo è riconosciuto ora per allora e quindi c’è una vera e propria omissione contributiva con la conseguente debenza delle sanzioni civili». Invece, se la sentenza è costitutiva «l’obbligo contributivo è ripristinato ex tunc senza che ci sia omissione contributiva con conseguente non debenza delle sanzioni civili».
D’altro canto, secondo le Sezioni unite, la distinzione tra licenziamento nullo o inefficace e annullabile segna una continuità tra la vecchia e nuova formulazione dell’art. 18, sicché il regime sanzionatorio del debito contributivo conseguente all’ordine di reintegrazione è identico anche per le situazioni verificatesi prima dell’entrata in vigore della legge del 2012: in caso di licenziamento dichiarato inefficace o nullo, scatta la sanzione civile prevista dall’art. 116, comma 8, lett. a), l. n. 388 del 2000, per l’ipotesi dell’omissione contributiva; in caso di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo trova applicazione l’ordinaria disciplina della mora debendi in ipotesi di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma non anche il regime delle sanzioni civili di cui all’art. 116.