In Francia e Gran Bretagna prevalgono gli euroscettici, in Germania la cancelliera Angela Merkel strappa un risultato dignitoso, nel nuovo Parlamento europeo i popolari dovrebbero avere la maggioranza. In Italia invece vince, anzi stravince (almeno secondo le proiezioni) il Pd di Matteo Renzi, diventato il primo partito dell’eurosinistra proprio alla vigilia del nostro semestre di presidenza. Beppe Grillo e il suo sfascismo sono doppiati, gli anti-euro leghisti rialzano la testa sull’onda del gemellaggio con il Front National di Marine Le Pen, ma sono lontani dalle percentuali a doppia cifra di pochi anni fa.
Il voto italiano dice una cosa semplice: che quando sono messi di fronte a una seria alternativa tra un partito di sistema e uno anti-sistema, gli italiani depongono la rabbia e fanno prevalere l’anima moderata. Vince chi rassicura, chi infonde fiducia. O almeno dimostra di volersela meritare, anche se a colpi di bonus da 80 euro. Non è un caso che il Pd abbia ottenuto percentuali raggiunte soltanto dalla Dc degli anni d’oro. Insomma, Matteo Renzi ha vinto con i voti di Silvio Berlusconi, ha conquistato l’elettorato moderato che nei momenti chiave rifugge dalle soluzioni estreme, dagli urlatori rivoluzionari tanto quanto dai tecnocrati privi di radici nel popolo: i liberal-democratici alla Mario Monti sono stati spazzati via.
Renzi non è andato a prendersi i voti grillini, nonostante i proclami degli ultimi giorni di campagna elettorale. Il flop di Grillo, clamoroso, ha ingrossato le schiere dell’astensionismo. I 5 Stelle sono già entrati nella fase in cui cominciano a deludere gli elettori e a nulla è servito andare a «Porta a porta» ostantando moderazione. Il premier invece ha fatto un’operazione diversa: ha cannibalizzato la propria maggioranza, o meglio le due maggioranze con cui si barcamena, quella che sostiene il governo (con il Nuovo centrodestra e i brandelli montiani) e quella per le riforme con Forza Italia. Dracula-Renzi ha succhiato il sangue dei propri alleati.
Rastrellando il 40 per cento del consenso, Renzi ha spinto sull’orlo del baratro il Ncd, che fino all’ultimo voto scrutinato non saprà se avrà superato lo sbarramento del 4 per cento, superato da Lega e perfino dalla sinistra radicale di Tsipras. E ha dato una spallata a Forza Italia, che pure era l’unico vero puntello per fare le riforme istituzionali. Il cui iter ora ripartirà da capo: perché mai, infatti, Berlusconi dovrebbe appoggiare un sistema elettorale che prevede un ballottaggio dal quale Forza Italia sarebbe esclusa?
Il centrodestra è a brandelli. Il vecchio Pdl (cioè la somma di Forza Italia, Ncd e Fratelli d’Italia) galleggia attorno al 25 per cento mentre la riedizione della coalizione messa in piedi un anno fa da Bersani (Pd più Sel) volerebbe verso il 45 per cento. L’Italia moderata ha nettamente svoltato a sinistra sostenendo l’uomo dell’ultima spiaggia, colui che si è insediato come simbolo della speranza contro i seminatori di paura.
Renzi ha avuto ciò che cercava, ovvero una larga legittimazione popolare. Aveva impostato la campagna elettorale come un referendum su di sé e ha vinto. Ora deve fare ciò che non ha fatto finora: governare. Dare corpo alle promesse e alle speranze. E deve farlo con i numeri di questo Parlamento, che non cambiano. Quali riforme istituzionali? Quale sistema elettorale? Con quali alleati? E quale idea di Europa proporrà nei prossimi sei mesi?
Lo scenario è completamente diverso rispetto a pochi mesi fa. Il Nuovo centrodestra è fragilissimo. Forza Italia è un partito fatto di una sola persona, un settantottenne dalla libertà limitata ma combattivo e non ancora pensionato. Scelta civica è sparita. La tentazione di fare le riforme da solo è forte in Renzi. Ma con questo Parlamento, e questo capo dello stato, il leader del Pd deve cercare un alleato. Dopo aver spolpato come un piranha Ncd e Forza Italia, ora Renzi è condannato a tenerli in vita.