Nessuno si era illuso che i problemi dell’eurozona fossero svaniti in un pomeriggio con le dichiarazioni di Draghi sull’acquisto di bond dei Paesi periferici sul mercato secondario; e nemmeno la performance dei mercati delle ultime settimane poteva essere confusa con la fine della crisi e il ritorno immediato alla crescita senza ulteriori incidenti. Ieri è stata Standard & Poor’s a fare il punto sulle prospettive economiche dell’eurozona dopo l’euforia delle ultime settimane. Secondo l’agenzia di rating, gli indicatori economici continuano a dipingere uno scenario sconfortante per l’Europa, mentre i dati confermano che la regione sta entrando in un nuovo periodo di recessione.
Come noto, però, le performance dei paesi europei differiscono di molto e mentre il calo del Pil atteso da S&P’s per l’Europa è ora dello 0,8% dal precedente -0,7%, le cose peggiorano quando ci si sposta verso sud. Così le stime di crescita per l’Italia nel 2013 vengono abbassate dal -0,4% al -0,6%, ma la vera sorpresa negativa è per la Spagna, su cui il report punta decisamente l’attenzione. Nel caso del Paese iberico, il Pil per il 2013 è ora atteso a un calo più che doppio rispetto alla stima precedente (da -0,6% a -1,4%). D’altronde le entrate fiscali ad agosto sono scese del 4,6% rispetto all’anno scorso, mentre il deficit nei primi 8 mesi dell’anno è stato pari al 4,8%; niente di particolarmente strano se si pensa che il tasso di disoccupazione è superiore al 20%.
Che la Spagna sia oggi il problema principale per l’eurozona non è oggetto di discussione. Per dimensioni, per relazioni commerciali e finanziarie sorpassa di gran lunga gli altri problemi che l’Europa si è trovata fino a oggi ad affrontare, Grecia inclusa. Le ragioni di questi timori sono diverse e lasceremo per ultimo alcune di quelle più interessanti e meno conosciute. Rimanendo al caso Spagna, quello che sembra trasparire anche dal report dell’agenzia di rating è una preoccupazione sulle prospettive economiche, dell’Europa in generale e della Spagna in particolare, nonostante le recenti prese di posizione della Bce.
In altre parole, quanto detto e fatto, seppur positivo ed efficace nel ridurre i timori sulla sopravvivenza dell’euro, con tutte le positive conseguenze del caso, non risolve il problema di un ritorno in tempi ragionevoli alla crescita, che anzi a questo punto viene rinviata al 2014. La prima constatazione è sugli effetti negativi dell’inasprimento fiscale e delle politiche di austerity; effetti più negativi rispetto alle crisi precedenti quando la leva del cambio era utilizzabile e quando la crisi era meno diffusa a livello globale di quanto lo sia ora, dato che dalla Cina agli Stati Uniti si registrano segni più o meno visibili di difficoltà economiche. In secondo luogo ciò che non sembra funzionare, sostiene sempre S&P’s, è la trasmissione della “liquidità” all’economia reale: le istituzioni finanziarie hanno preso liquidità dalla Bce senza averla convertita in prestiti all’economia reale. A questo riguardo, aggiungiamo noi, alcune nuove regole bancarie a livello europeo non hanno dimostrato particolare lungimiranza.
Il quadro che emerge dalla lettura del report di S&P’s è quello dell’assenza di una vera soluzione al problema di un ritorno alla crescita in Europa senza la quale, tornando alla Spagna, è impossibile non continuare a preoccuparsi. Secondo un recentissimo report della Banca dei regolamenti internazionali, che non è sfuggito alla stampa internazionale d’oltreoceano, l’esposizione del sistema finanziario tedesco alla Spagna è la più alta d’Europa e pari a 140 miliardi di euro (di cui 46 miliardi alle sole banche), più di quattro volte l’esposizione alla Grecia; quella della Francia è di 116 miliardi di euro e quella dell’Olanda, altro membro del club dei “super-virtuosi”, di 68 miliardi. Alla stessa voce il “derelitto” sistema finanziario italiano presenta un ben inferiore numero di 26 miliardi.
Dato che presumibilmente i tedeschi si sono già liberati del debito statale spagnolo, quello che rimane è l’esposizione alle banche private e al real estate, non proprio, pare, settori in salute. Sarebbe davvero un bel guaio per tutti, per usare un eufemismo, se la Spagna fosse lasciata al suo destino, e se il circolo vizioso in atto, crisi-deleveraging-austerity, non venisse in qualche modo spezzato. L’economia tedesca che sta rallentando si troverebbe alle prese con un sistema finanziario impegnato ad assorbire le conseguenze della crisi della Spagna le cui prospettive di crescita continuano a peggiorare e che darebbe problemi molto meno gestibili di quelli greci.
Occuparsi della Spagna oggi significa in realtà occuparsi della crescita di tutta l’Europa e probabilmente significa anche affrontare definitivamente il problema dei debiti sovrani che altrimenti, Draghi o no, è destinato a riproporsi e a ripresentarsi ogni volta più forte di prima.