I dati sull’occupazione di maggio, resi noti dall’Istat, risuonano come un bollettino di guerra. Li riportiamo di seguito con l’essenzialità dei dispacci di agenzia. La disoccupazione raggiunge un nuovo massimo storico con il tasso salito al 12,2%: il picco più alto sia dalle serie mensili (gennaio 2004) che da quelle trimestrali, avviate nel primo trimestre 1977, cioè 36 anni fa. A maggio dell’anno in corso gli occupati sono 22 milioni 576 mila, in diminuzione dello 0,1% rispetto ad aprile (-27 mila) e dell’1,7% (-387 mila) su base annua. Il tasso di occupazione, pari al 56,0%, diminuisce di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale e di 1,0 punti rispetto a dodici mesi prima. Il numero di disoccupati, pari a 3 milioni 140 mila, aumenta dell’1,8% rispetto ad aprile (+56 mila) e del 18,1% su base annua (+480 mila). L’aumento interessa sia la componente maschile sia quella femminile. Il tasso di disoccupazione si attesta al 12,2%, in aumento di 0,2 punti percentuali rispetto ad aprile e di 1,8 punti nei dodici mesi.
Tra i 15-24enni le persone in cerca di lavoro sono 647 mila (a Santa Margherita Ligure Enrico Giovannini lo ha definito un fenomeno “aggredibile”) e rappresentano il 10,7% della popolazione in questa fascia d’età. Il relativo tasso di disoccupazione, ovvero l’incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 38,5%, in diminuzione di 1,3 punti percentuali rispetto al mese precedente e in aumento di 2,9 punti nel confronto tendenziale. Il numero di individui inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce dello 0,2% rispetto al mese precedente (-35 mila unità) e dello 0,9 % rispetto a 12 mesi prima (-127 mila). Il tasso di inattività si attesta al 36,1%, in diminuzione di 0,1 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,3 punti su base annua.
In un quadro complessivamente negativo, possiamo notare, tuttavia, alcune variazioni che andrebbero meglio approfondite: abbiamo notato che, rispetto ad aprile, diminuisce di 1,3 punti (il che non è poco) nella classe di età compresa tra 15 e 24 anni il tasso di disoccupazione (calcolato – è sempre bene ricordarlo – non su tutta la popolazione di quell’età, ma sulla platea di coloro che hanno un’occupazione o che la cercano); cala, sia pure di poco, altresì, il numero degli inattivi confermando un trend già emerso nei mesi scorsi.
Le nuove statistiche entrano nel dibattito politico a poche ore di distanza dal varo, da parte del governo, del “pacchetto Giovannini” e dalle decisioni assunte a Bruxelles per quanto riguarda l’occupazione, in particolare dei giovani. Se abbiamo ben compreso, infatti, lo stanziamento di 1,5 miliardi promesso in sede Ue dovrebbe riguardare quanto compete all’Italia per l’avvio del piano “Garanzia giovani”. Ma, soprattutto, tutti gli osservatori saranno indotti a valutare la situazione a fronte delle prime terapie adottate dal governo.
Nel decreto, il ruolo più rilevante spetta agli incentivi economici per le nuove assunzioni, mentre è presente ben poco a correzione delle norme della legge Fornero, accusate, ormai da più parti, di aver irrigidito l’accesso al mercato del lavoro.
Persino la regola di significativo interesse, riguardante una maggiore flessibilità delle assunzioni in vista dell’Expo 2015, è stata stralciata, immaginiamo su richiesta sindacale, benché l’adozione dei relativi strumenti di deroga dipendesse esclusivamente dall’iniziativa negoziale delle Parti sociali, le quali, evidentemente, non si fidano neppure di se stesse. In sostanza, l’unica correzione di un qualche significato della legge Fornero riguarda l’aver ripristinato i previgenti giorni (10 e 20) intercorrenti tra un contratto a termine e quello successivo. Anche la possibile e utile novità di prolungare oltre i 12 mesi, ora previsti, l’acausalità nei contratti a termine è stata affidata a quanto vorranno disporre le Parti sociali.
In sintesi, a nostro avviso, gli incentivi economici previsti non compenseranno i permanenti disincentivi normativi, le rimozioni o correzioni dei quali non avrebbero comportato particolari costi e, certamente, sarebbero risultati più efficaci nel creare nuovi posti di lavoro. Gli incentivi economici, oltre a essere onerosi, presentano strutturalmente degli inconvenienti: finiscono per premiare, come è avvenuto in altre occasioni, assunzioni che, più o meno, ci sarebbero state comunque; “drogano”, per il tempo in cui operano, il mercato del lavoro e, quando vengono a mancare, determinano una vera e propria moria di una quota significativa dei posti “creati”.
Inoltre, qua e là, al contrario, fa capolino, nel decreto, qualche ulteriore irrigidimento come l’introduzione di un tetto di 400 giornate in un triennio per il lavoro intermittente e l’applicazione anche ai collaboratori della disciplina farraginosa prevista per le dimissioni.
Ci saranno margini adeguati in Parlamento per rafforzare il provvedimento? Lo vedremo presto, anche se nel governo sembra prevalere una linea compromissoria non solo tra i principali partiti della maggioranza, per quelle che sono le posizioni politiche di ciascuno, ma anche per l’attenzione che viene prestata al consenso popolare, come se la prospettiva elettorale non fosse poi tanto lontana.