“In gay we trust” era la scritta sul petto delle ragazze del gruppo ucraino Femen che hanno manifestato ieri a Roma. Verrebbe da dire: affari vostri e, comunque, contente voi… Non è però così semplice, purtroppo. Lo spettacolo a seno nudo è avvenuto in Piazza San Pietro durante l’Angelus del Papa, contro il quale era rivolta un’altra scritta in inglese: taci, omofobo.
Femen è stato costituito in Ucraina nel 2008, con alcuni obiettivi ampiamente condivisibili: la lotta alla corruzione, alla prostituzione, al turismo sessuale. Si qualifica, tuttavia, come un moderno movimento femminista, che parrebbe anche intenzionato ad assumere valenza di partito politico, che ha assunto il topless come arma principale di manifestazione.
Questo è uno dei punti discutibili, perché non è così coerente che un movimento in difesa dello sfruttamento delle donne utilizzi come arma proprio il loro corpo. Secondo qualche dichiarazione letta sul web, questa scelta sarebbe dovuta alla situazione ucraina e al fatto che ciò “colpisce” i maschi. Questo forse poteva valere qualche decennio fa, ma ora un paio di seni nudi non sollevano una grande attenzione, se non per la qualità dell’esibizione e, francamente, non mi sembra questo il caso.
Certo, la cosa richiama sì, e comunque, l’attenzione se avviene durante una cerimonia religiosa, dove cioè l’intento è chiaramente provocatorio e dissacratorio, come dimostra la scritta citata all’inizio. La religione è identificata come uno dei nemici che il movimento deve combattere in quella che è definita “una guerra pacifica” (il ricorso al denudarsi viene giustificato anche con il voler dimostrare di non portare armi), e quella di Roma, infatti, non è la prima manifestazione antireligiosa. La leader delle quattro ragazze, Inna Shevchenko, è fuggita in Francia per evitare di essere perseguita, avendo tagliato con una motosega, e ovviamente a seno nudo, un Crocefisso di legno che la Chiesa ortodossa aveva dedicato alle vittime dello stalinismo.
La ragione di questo “pacifico” atto era stata la solidarietà alle Pussy Riots, le tre cantanti russe condannate a due anni per aver manifestato contro Putin nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca. La canzone che le tre ragazze punk hanno cantato in quella occasione non era solo una contestazione politica a Putin, condotta in un luogo inappropriato, ma conteneva insulti diretti alla Chiesa ortodossa.
Lo scorso aprile, nella cattedrale di Santa Sofia a Kiev, attiviste di Femen hanno manifestato, sempre in topless, a favore dell’aborto. Se Femen fosse rimasta ancorata agli obiettivi originari, relativi allo sfruttamento delle donne, avrebbe dovuto riconoscere le Chiese cristiane come delle naturali alleate. Avendo, però, equiparato alla difesa della dignità e della libertà della donna la difesa dell’aborto e dei diritti omosessuali, è evidente che la religione sia diventata il nemico principale.
Lo spettacolino in Piazza San Pietro è stato presentato come una reazione alla manifestazione che si è tenuta ieri a Parigi contro la proposta del governo Hollande di equiparazione delle unioni gay al matrimonio e contro le adozioni da parte di coppie gay. Al corteo, denominato La Manif pour tous, hanno partecipato 800.000 persone, secondo gli organizzatori, 340.000 secondo la polizia. Cifre comunque molto superiori alle attese.
Non mi stupirei, però, se i commenti fossero concentrati più sulle quattro ragazze di Roma che sulle centinaia di migliaia di manifestanti a Parigi, che in patria hanno già dovuto difendersi dalle accuse di… nazismo!