Su richiesta degli amici de IlSussidiario, il vostro vecchio Yoda si ritrova costretto anche quest’anno a sintonizzare il suo ricevitore interstellare sull’edizione numero 67 del Festival di Sanremo. Si comincia con la mozione della nostalgia: una struggente canzone di Luigi Tenco, lo schermo è in bianco e nero, ma la magia di Tenco proprio non c’è, e nonostante ogni impegno a Yoda pare proprio che Tiziano Ferro non regga il confronto. Certi rischi sarebbe meglio evitarli. La canzone continua in una versione pop-sinfonica della sempre ottima orchestra della Rai, su uno sfondo di una scenografia post-moderna a base di strisce azzurre e triangoli di plexiglass (forse dei tasti di pianoforte, chissà). Si attacca subito con la prima discesa delle mitiche scale dell’Ariston, da parte di Carlo Conti – novello Wanda Osiris – subito raggiunto dalla grande novità, una Maria De Filippi in veste insolitamente umile e ancillare. Con un incredibile vestito-pagliaccetto che non dona per nulla alle sue forme non esattamente femminili, con la sua baritonale erre moscia celebra un po’ in sordina l’inciucio Rai-Mediaset, che sembra anticipare il governo delle larghe intese, com’è sempre avvenuto con la Rai, capace di anticipare d’abitudine il futuro politico del Paese. Yoda è proprio curioso di vedere i dati Auditel, che in mancanza di controprogrammazione potrebbero essere ovviamente strepitosi.
La kermesse parte con due canzoni assai modeste a opera di Ferreri e Moro. Si prosegue con chiacchiere qualunque (i testi sono proprio modesti) per introdurre il modello di uomo sexy, il bellone Raoul Bova, che si cimenta al posto di Conti nel presentare Elodie, prima cantante decente. Con tono serioso Maria De Filippi introduce il primo momento social del Festival, annunciando l’ingresso dei rappresentanti delle Forze Armate, dei Pompieri, della Guardia di Finanza, della Protezione civile, insomma tutti quelli impegnati nei soccorsi in occasione dell’ultimo terremoto. Commozione generale, immancabile e doverosa standing ovation da parte del pubblico, seguita da alcune interviste ai protagonisti, le stesse che abbiamo sentito svariate volte nelle ultime settimane in tutti i tg e in tutti i talk-show. Un’evidente modalità per giustificare come trasmissione di servizio pubblico una gara canora oramai stanca nella sua trita liturgia: e infatti si finisce del tutto ovviamente con l’immancabile raccolta fondi.
Si va avanti, già stancamente. I due superconduttori introducono come una grande novità la debuttante Ludovica Comello, con un inguardabile vestito tratto direttamente da un cartone animato di Heidi. La canzone scorre via deludendo le grandi aspettative. Anche Carlo Conti e Maria De Filippi deludono un po’, dato che introducono i cantanti come se leggessero l’elenco del telefono. Sembrano ingessati, intimiditi da Sanremo, forse attenti a non strafare, e comunque mai aiutati dagli autori. Meno male che arriva Crozza, che inevitabilmente parla del Festival della larghe intese, imita per un attimo Renzi, se la prende giustamente con la scenografia che gli sembra di latta che effettivamente intristisce anche la sua performance (ohibò, il comico la pensa su tutto come Yoda). Finalmente un po’ di emozione: Fiorella Mannoia, con una canzone che per la verità sembra costruita con i pezzi delle sue più famose. Comunque due spanne sopra gli altri interpreti. Ma si ritorna subito più giù con Alessio Bernabei, smisurato ciuffo pieno di lacca, canzone modesta come la sua voce. Bah, se questo è il frutto della direzione artistica di Carlo Conti, non c’è proprio da strapparsi i capelli.
Come superospite ritorna Tiziano Ferro, che aveva dato inizio al Festival interpretando Tenco, ed era già stato ospite in un’altra edizione. A Yoda appare in linea con le altre modeste canzoni sentite, anche quando duetta con Carmen Consoli, che al vostro vecchio maestro Jedi sembra sempre una affetta da un problema mai risolto di adenoidi. Poi, per la quindicesima volta, appare al Festival Al Bano, con un curioso look clergyman. Il capello lungo è sempre quello, ma la voce ahimè è tremola più del necessario: davvero triste quando uno non si rende conto di non farcela più. Altro intermezzo social di Raoul Bova che racconta iniziative a favore dei terremotati: oramai la liturgia della gara canora è talmente trita e ritrita, che si cerca di inframmezzarla con argomenti di carattere sociale, il che nobilita un po’, ma intristisce sicuramente l’atmosfera.
Bella sorpresa invece l’ingresso di Paola Cortellesi e Antonio Albanese: fanno finta di cantare una canzone fuori concorso, con risultati nettamente superiori a quelli dei cantanti in gara. Davvero brava, bella e luminosa lei, che scopriamo dotata di una voce notevole, dato che ha fatto la gavetta nei piano-bar. Compare dal passato Ron, inseparabile compagno musicale di Lucio Dalla, che canta dignitosamente una canzone tipicamente sua. Ahimè, altro intervento social (si comincia a esagerare): con voce sempre più bassa Maria De Filippi introduce il momento anti-bullismo. Arrivano due ragazzini, animatori di una iniziativa intitolata “Mabasta”, che intende eliminare il bullismo dalla scuole.
Si riprende. Si sono messi addirittura in cinque per scrivere il non clamoroso rap di Clementino, ma qui Yoda getta la spugna, visto che non è mai riuscito a distinguere un rap da un altro. Dopo la solita eterna telepromozione di Sanremo, annunciato come una grande star, ecco un altro ospite stravisto: Ricky Martin. I soliti ritmi latino-americani, quelli tipici delle feste di capodanno, manca solo che facciano il trenino. La serata iniziale del Festival di Sanremo si annuncia così come un’insipida marmellata di modeste canzoni, interventi social strappalacrime, e la musica di Ricky Martin, stra-sentita da anni nelle serate di Capodanno. È mezzanotte, e la pazienza di Yoda è oramai esaurita. Canta tale Ermal Meta: ma possibile che le canzoni di Sanremo appaiono fatte tutte sullo stesso format? Due frasi iniziali quasi recitate, un contrasto di accordi maggiori/minori, per dare poi spazio a un ritornello con pieno di voce e di orchestra, per finire ancora sussurrando…quasi tutte così. Risentendole a brandelli per il resumè finale, alla fine, a Yoda restano in mente Fiorella Mannoia, Elodie e Ron, che invece finirà ingiustamente tra gli esclusi.
Ma non è finita, c’è tempo per scendere ancora più in basso, con Ubaldo Pantani che imita assai modestamente Bob Dylan e dice quattro povere battute con accento toscano. Torna per un attimo Raoul Bova con la la sua bellissima compagna Rocio, così i pensionati che guardano RaiUno possono lustrarsi gli occhi, come hanno potuto fare poco prima con Diletta Leotta, molto attenta a scostare lo spacco del vestito per mostrare le gambe. E intanto lamentava di essere stata hackerata mostrando sue foto private…Mah! Del tutto incommentabile. Come è incommentabile l’intervento di Rocco Tanica dalla sala stampa a base di prostata e pipì. Alla faccia della “direzione artistica”!
All’una meno cinque si chiude una faticosa maratona di quattro ore. Il bilancio della prima serata del Festival di Sanremo è quindi molto, molto magro: un’insipida marmellata di modeste canzoni, testi ancora più modesti, interventi social strappalacrime e ritriti ritmi afrocubani. Non a caso la parola più diffusa su Twitter e Facebook è “mosceria”. Si è letto tra l’altro su Repubblica che in Commissione di Vigilanza Rai è stato chiesto perché a Giancarlo Leone, storico e assai ben pagato dirigentone Rai, per molti anni responsabile dei sempre uguali contenuti dell’azienda di servizio pubblico, sia stata data una consulenza artistica per l’occasione, nonostante sia appena andato in pensione, per rinforzare la direzione artistica di Carlo Conti. Dato l’assai scarso livello della serata, c’è proprio da chiedersi quale sia stato il suo contributo, se non quello già fornito per moltissimi anni.
Comunque, se questa era l’anteprima delle larghe intese, ci aspettano momenti veramente tristi: e dire che Yoda pensava che in Italia aveste già toccato il fondo…