Siccome non c’è due senza tre, ecco che nella corsa alla segreteria del Partito democratico è spuntato il terzo incomodo tra Pierluigi Bersani e Dario Franceschini. L’outsider si chiama Ignazio Marino, di professione fa il chirurgo, è un luminare dei trapianti di esperienza internazionale, ma negli ultimi anni la pratica medica gli è servita soprattutto per accreditarsi come punto di riferimento del laicismo anticattolico nei temi di bioetica. Dalla fecondazione assistita al testamento biologico fino al caso Englaro, il senatore Marino è diventato il portabandiera dei cosiddetti diritti civili, della libertà di scegliere come dare la vita e come morire, e siccome si dichiara cattolico praticante viene osannato perché combatte la sua battaglia “da dentro” l’odiato oscurantismo della Chiesa.
Il terzo uomo semplifica e complica allo stesso tempo il “puzzle” che il Pd si ostina a restare. Semplifica perché definisce gli schieramenti. Con Franceschini si colloca il grosso dell’ex Partito popolare con alla testa Marini, Fioroni e Castagnetti, cui si uniscono Fassino e i suoi (Marina Sereni, Chiti, Damiano), ex cigiellini come Cofferati e Nerozzi, una fetta di veltroniani (Tonini, Vitali, Morassut) e i rutelliani. Completano il quadro le facce nuove di Sassoli e Serracchiani. Dietro a Bersani sono invece compatte le truppe dalemiane rinforzate da due ex popolari come Enrico Letta e Rosi Bindi, e dai prodiani Santagata e Levi. Marino rappresenta invece i cosiddetti “lingottini” (si sono riuniti al Lingotto di Torino la scorsa settimana), giovani dirigenti che premono per il ricambio generazionale come Scalfarotto e Civati, coordinati dall’ex braccio destro di Veltroni, Goffredo Bettini.
Ma l’ingresso di Marino complica la costruzione del partito che deve rinascere dalle ceneri del fallito sogno veltroniano. Bersani e Franceschini incarnano due idee diverse, ma entrambe riformiste e soprattutto ancorate alla politica. Marino invece introduce il tema etico, proprio quello su cui il Pd ha manifestato le maggiori incertezze e contraddizioni. Un tema che – almeno a giudicare dai risultati del referendum sulla fecondazione – appassiona più gli intellettuali che il popolo e trova sui giornali uno spazio inversamente proporzionale alle discussioni che si svolgono nei luoghi di lavoro.
Il fatto più curioso è che la discesa in campo del chirurgo-senatore irrita più Franceschini che Bersani, visto che sulla carta Marino dovrebbe strappare più voti all’area dell’ex ministro che a quella dell’attuale segretario pd. Ma Franceschini, perdendo l’ala “giovanilista” dei “lingottini” ora passati con Marino, vede sbiadita l’immagine orgogliosamente rivendicata di “uomo nuovo” contro il “vecchio” rappresentato da Bersani. E mentre cerca di liberarsi dall’etichetta di ex ppi, il segretario rischia di doversi di nuovo connotare come anti-laico, come eterno democristiano, come l’unico referente della Chiesa nel Pd. Insomma, la candidatura di Marino dividerà il partito anziché unirlo, e lo sposterà su posizioni più radicali e più liberal. Attendiamo con ansia gli applausi di Famiglia cristiana.
L’ultima osservazione riguarda una tessera inaspettata: quella che Beppino Englaro prenderà per sostenere Marino. Quando morì Eluana, molti pronosticarono per suo padre un futuro in politica: eccoli accontentati. Di Pietro aspettò quasi due anni per inaugurare la sua nuova carriera, anche nel suo caso prevedibilissima: mollò la toga il 6 dicembre 1994, divenne ministro prodiano nella primavera 1996. Ora, invece, nemmeno sei mesi ci separano dalle drammatiche giornate di Udine. Il signor Englaro ha imparato a bruciare le tappe e a sfruttare l’onda della popolarità.