Proponiamo, questa settimana, un interessante contributo della Scuola Primaria Piccolo Principe della Fondazione San Benedetto di Lugano, che gestisce anche un asilo nido, una scuola dell’infanzia e una scuola secondaria di primo grado.
Che la matematica sia pensiero è indubbio. Che la matematica sia un linguaggio con cui i bambini delle elementari possano esprimere i loro pensieri e addirittura anche le loro azioni, è cosa assai meno ovvia. Eppure è la sfida che da alcuni anni stanno lanciando nelle loro classi alcune maestre della scuola elementare Il Piccolo Principe. Una sfida incentrata su un terza parola, che si affianca a matematica e pensiero: esperienza.
«È la parola contenuta nello stesso nome del gruppo che tre anni fa mi ha proposto di partecipare a una ricerca matematica – racconta Francesca Beretta Piccoli – Ma.P.Es. che significa Matematica-Pensiero-Esperienza. Ho incontrato un gruppo di insegnanti che stavano lavorando così già da molti anni, guidato da Adriana Davoli e Paola Longo, docenti rispettivamente dei Politecnici di Milano e di Torino».
«Il lavoro si svolge via e-mail, con un incontro a fine anno a Milano. C’è una programmazione aggiornata mensilmente, che riporta delle linee generali che ognuno di noi deve sviluppare personalmente, declinandole nell’attività della classe in cui sta insegnando. Svolta l’attività riguardante un certo tema, scrivo i consuntivi di quanto fatto, e invio i lavori dei bambini, i dialoghi avuti, le domande emerse, le mie perplessità alle mie colleghe, da cui ricevo risposta in poco tempo».
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A Francesca si sono aggiunte, anno dopo anno, le altre maestre che alla Piccolo Principe si trovavano a insegnare in una prima elementare. «Il punto di partenza di ogni attività – spiega Francesca – da quelle affrontate già nelle prime settimane della prima, sul conteggio, sull’introduzione all’addizione e alla sottrazione, sulla scrittura posizionale dei numeri, fino a quelle svolta in terza, con il lavoro sulla moltiplicazione e le misure, è sempre una domanda, seguita da una proposta di lavoro vicina ai bambini: attività con oggetti, un gioco, una storia, una situazione problema. In un secondo momento, si passa alla schematizzazione sul quaderno, passando così dagli oggetti concreti, ai simboli grafici e poi convenzionali».
Qual è l’esito di questo approccio? Quali i frutti di questo metodo? «I bambini diventano i protagonisti del loro apprendimento: ciò li appassiona al lavoro, e così loro godono a fare matematica! Ciascuno è aiutato a seguire il suo percorso, guidato dall’insegnante. Stanno imparando a pensare, e se ne stanno accorgendo, e imparano ad esprimere i loro pensieri. Il linguaggio matematico, cioè, diventa la possibilità di esprimere i loro pensieri e le azioni fatte sugli oggetti».
Quali sono i momenti più significativi di lezioni così concepite e impostate? «Soprattutto lo scambio di strategie tra i bambini: ciascuno può raccontare come lui ha lavorato, confrontarsi con le modalità dei compagni; e così scoprire, magari, una via più veloce e più sicura della propria, che poi potrà diventare anche la sua». Non è un approccio tradizionale. Non permette un atteggiamento passivo da parte degli studenti e costringe chi magari da anni insegnava seguendo certi canoni a modificare radicalmente il proprio metodo.
Tutto facile ed evidente o faticoso e all’inizio disorientante? «Non tutto ciò che mi viene suggerito é, di primo impatto, semplice o comprensibile, ma è come una sfida: sarà vero? Continuo a fidarmi, verificando, chiedendo anche alle tante amiche e colleghe che insegnano in Italia; e poi c’è il grande lavoro con i bambini». Risultati? «Una grandissima sorpresa per ciò che accade. Non solo é possibile, ma corrisponde di più a me, a quello che desidero io, e ai bambini, a quello che loro aspettano. Gli allievi sono più contenti, e anche io sono grata di questo lavoro».
(di Francesca Beretta Piccoli e le sue colleghe della scuola elementare Il Piccolo Principe)