Come è noto ai più, la situazione economico-finanziaria italiana non è esattamente florida e le prospettive di breve-medio termine non sono esaltanti, complici il rallentamento globale e le politiche non propriamente lungimiranti dell’Europa e della Germania. Tra i vari settori vittime della crisi, con i conti in affanno e l’esigenza di avviare nuove vie per un ritorno sostenibile alla redditività, c’è anche quello bancario; lunedì, il governatore della Banca d’Italia Visco, ha incontrato i top manager delle maggiori banche italiane per discutere proprio del deterioramento del conto economico delle banche, flagellato dall’aumento delle sofferenze, dal calo del margine di interesse per i tassi eccezionalmente bassi e da una minore richiesta di credito del sistema.
Siccome l’economia non dovrebbe migliorare a breve e i tassi dovrebbero rimanere bassi, si può affermare che la crisi dell’attività “tradizionale” delle banche, quella di raccolta e concessione del credito a imprese e famiglie, sia in qualche modo strutturale; da qui le iniziative che molte banche stanno intraprendendo per tagliare i costi e diminuire le filiali ripensando il proprio modello di business. Le banche italiane, quindi, oggi sono in difficoltà sostanzialmente allo stesso modo, fatti tutti i dovuti distinguo, dell’economia generale e in più non possono essere certo accusate di essere state la causa scatenante della crisi finanziaria globale; nel senso che certe abitudini finanziarie disinvolte, da questa parte delle Alpi sono state infinitamente più contenute che altrove.
Sinceramente, però, stendere un velo pietoso su tutto quello che è accaduto prima d’ora per i motivi di cui sopra non sembra una mossa molto intelligente, se non altro perchè “ricordare” alcune disavventure recenti, se non recentissime, diminuisce la probabilità di nuovi errori. Facciamo alcuni esempi.
Cosa ci fanno le banche nella holding di controllo di Telecom Italia e quanto hanno perso rispetto ai 2,8 euro ad azione pagati nel 2007? Quanti soldi se ne sono andati e quanti minori crediti sono stati incassati sul tracollo di tante società immobiliari, alcune delle quali quotate, con progetti di sviluppo immobiliari “ambiziosi” od operazioni di acquisto a leva spropositate? Quanti sono costati gli interventi in società editoriali con i conti traballanti o per sostenere holding o holding di holding per garantire la sopravvivenza di assetti proprietari o azionari?
Tanto più nel contesto attuale certe riflessioni diventano inevitabili, sia perchè l’accesso al credito è stato complicato e costoso negli ultimi mesi e anni di crisi, sia perché a questo riguardo alcune novità lasciano intravedere la possibilità di un ritorno alla normalità nei mercati finanziari. È notizia di ieri l’emissione di un covered bond da 1,25 miliardi di euro di Intesa Sanpaolo con una scadenza (2022) che non si vedeva in tutto il Sud Europa da più di un anno e che, nonostante renda l’1% in meno dei titoli di stato di pari durata, ha ricevuto ordini per più di 5 miliardi di cui l’83% da stranieri.
Il fatto è senza ogni dubbio molto rilevante e rappresenta un segnale importante per tutto il sistema finanziario e bancario italiano in termini di accesso ai mercati finanziari e di fiducia degli investitori, nonostante la fragile situazione economica italiana. Se sia avvenuto per vera convinzione o per mancanza di alternativa, data la bolla dei mercati obbligazionari in alcuni mercati sia al di là che al di qua dell’Atlantico, poco importa.
Quello che importa è che le accuse rivolte al sistema bancario spesso si concentrano su aspetti poco gestibili dalle banche e dove in realtà si subisce la congiuntura o il contesto dei mercati. Le scelte di concessione del credito, invece, sono autonome e rappresentano un fattore chiave per lo sviluppo del sistema economico. Quanto sia capitale un uso intelligente delle risorse raccolte non è molto difficile da intuire, tanto più in un contesto di razionamento del credito imposto da autorità più o meno lungimiranti e imparziali (vi ricordate come uscirono dallo stress test europeo Bankia e Unicredit?) e dalla congiuntura.
Se davvero poi stesse per iniziare una fase, di cui è realmente difficile ipotizzare la durata, in cui la raccolta sui mercati diventa meno complicata e costosa, allora scegliere male dopo anni di magra diventa un peccato mortale e cancella in un colpo tutti gli alibi, sia quelli addotti ingiustamente che quelli a ragione.