È uscito di recente un libro del premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz dal titolo “The Euro: And its Threat to Europe”, cioè”L’euro e la sua minaccia all’Europa”, che ha destato qualche discussione. Non avendo ancora letto il libro, mi rifaccio ad alcune interviste dello stesso Stiglitz che ne illustrano il contenuto, per esempio quella rilasciata a un blog della London School of Economics.
La critica di partenza di Stiglitz è ormai scontata: senza un’unità politica, un’unione monetaria difficilmente può funzionare. È un fatto ormai acquisito, di cui si è più volte trattato anche su queste pagine, ma qualche commentatore ha fatto presente che gli Stati Uniti ci sono riusciti, sia pure in più di un secolo e con una guerra civile in aggiunta. Argomento che più che una contestazione appare come una drammatica dimostrazione dell’assunto iniziale.
È tuttavia interessante l’osservazione che l’Eurozona è stata costruita non tanto su ragioni economiche, quanto su motivazioni politiche. Questo rappresenta un capovolgimento dell’assunto: l’euro è stato fatto per portare all’unità politica, utilizzando l’unità monetaria come strumento. Evidentemente si è pensato, come diceva Napoleone delle salmerie, l’economia e i popoli seguiranno, ma, come per Napoleone, questa si sta dimostrando un’illusione anche per l’Eurozona.
Un altro punto principale del discorso di Stiglitz è che non si può dare per scontato che i costi di uno smantellamento dell’euro siano comunque e di gran lunga superiori a quelli di un suo mantenimento a qualsiasi prezzo. Quanto meno la questione dovrebbe essere verificata accuratamente e l’opinione di Stiglitz che convenga smantellare l’euro non sembra essere così isolata. Il periodico riaffiorare dell’euro “a due velocità”, ipotesi delineata dalla Germania prima della moneta unica, per esempio nei confronti dell’Italia, prospetta soluzioni molto vicine al “divorzio amichevole” cui accenna il professore americano.
Il Brexit, pur non facendo parte il Regno Unito dell’Eurozona, ne ha paradossalmente accentuato le tensioni interne. L’immagine usata da Stiglitz è forte: piuttosto che soci solidali tra loro, i Paesi dell’Ud sembrano dei compagni di prigione, che stanno insieme per paura di essere puniti. Un paragone forse eccessivo, ma che sembra giustificato dalle reazioni di Bruxelles all’esito del referendum britannico. Stiglitz cita Juncker come esempio, accusandolo inoltre di aver trasformato il Lussemburgo, quando ne era il Primo ministro, in un paradiso fiscale dentro l’Ue. Argomento cui fu dato qualche risalto ai tempi dello scandalo Panama Papers, ma che non ha avuto alcun seguito da parte degli altri governi o del Parlamento europeo.
Per Stiglitz è anche sbagliata e dannosa la politica di austerità imposta da Bruxelles, o meglio dalla Germania, altro argomento trattato qui da noi quotidianamente. Lasciando agli economisti come Stiglitz il dibattito accademico sulle politiche economiche, è però da chiedere come mai l’Ue non applichi la stessa austerità a se stessa e alla sua costosa macchina burocratica. Un esempio clamoroso è dato dall’organismo che dovrebbe rappresentare i cittadini europei, quelli tartassati dall’austerità. Il Parlamento europeo, come denuncia con toni peraltro sobri lo stesso suo sito, “lavora” in ben tre sedi: Strasburgo, Bruxelles e Lussemburgo. Un perfetto manuale Cencelli dell’Europa “virtuosa”.
Uno degli argomenti portati in favore dell’euro è che ha impedito le svalutazioni competitive e, quindi, eliminato la concorrenza sleale di alcuni Stati. In effetti, anche l’Italia ricorse a svalutazioni competitive della lira e ciò le fu fatto pagare al momento della sua entrata nell’euro, non solo, ma rimane probabilmente uno dei fattori che ne sconsigliano l’estromissione dall’euro. Ora, se è corretta l’analisi di Stiglitz e di molti altri, è lecito pensare che vi sia chi pensa utile indebolire l’Italia prima che l’euro si sfasci, così da diminuirne la futura competitività. Né tantomeno stupisce che ciò avvenga soprattutto da parte di Germania e Francia.
Stupisce semmai che i nostri politici, Governo e Parlamento, e i nostri imprenditori sembrino del tutto incapaci di reagire, pur avendo diversi strumenti a disposizione, a cominciare da una ridiscussione delle sedi e della ripartizione dei costi comunitari. La crisi conclamata di una “virtuosa” banca tedesca come la Deutsche Bank dovrebbe spingere a spezzare il ben poco virtuoso “segreto bancario” che avvolge l’intero sistema delle banche tedesche. Sarebbe un’occasione per far luce sul comportamento delle banche francesi e tedesche nella crisi greca e sul loro salvataggio da parte dei due governi, a spese dei greci e di altri Stati membri, come l’Italia. Se poi Renzi, invece che nei proclami ai media, prendesse posizione ufficiale a Bruxelles contro la Germania per la sua pesante violazione degli accordi comunitari sui surplus commerciali, verrebbe sostenuto da molti altri Paesi, troppo timorosi per prendere da soli l’iniziativa.
Anche il problema dell’immigrazione andrebbe trattato con ben altra grinta nei confronti dei nostri “sodali” del nord e, in particolare, dovremmo presentare un conto salato a Francia e Regno Unito per la loro bella impresa in Libia. Ancora. Le sanzioni alla Russia, che non impediscono a Germania e ad altri di continuare a fare affari, stanno danneggiando pesantemente la nostra economia. L’Italia dovrebbe abolire le sanzioni, che non mi paiono derivare da nessun trattato europeo, ma imposte da Obama. Alle probabili indignate reazioni dei notabili di Bruxelles potremmo rispondere dove erano quando Londra e Parigi fecero il disastro libico. Potremmo inoltre, con una parte dei soldi risparmiati dalle sanzioni, dare una mano all’economia ucraina, investendoci seriamente e non a parole come sta facendo l’Ue.
È probabile che a questo punto le sanzioni di Bruxelles sarebbero rivolte contro di noi, ma questo segnerebbe la fine dell’Eurozona e dell’Ue, solo anticipando un risultato che sembra essere ormai per molti scontato. Ma almeno avremmo smesso di far melina, giocando all’attacco.