La riprova di quanto la nomina del nuovo presidente Consob sia stata un lungo – e importante – test politico, lo si evince in modo definitivo dalla designazione del quinto commissario. Paolo Troiano, consigliere di Stato e già capo di gabinetto dell’Antitrust, era attualmente vice-segretario generale della Presidenza del Consiglio: cioè uno dei “civil servant” più vicini a Gianni Letta, Sottosegretario alla Presidenza di Silvio Berlusconi. Sarebbe stato difficile trovare un identikit meno rispondente al tecnocrate “lettiano” adeguato a ricoprire un ruolo di evidente risarcimento per la mancata nomina di un tecnocrate lettiano “maior” alla presidenza: che era poi lo stesso presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, dirottato all’Autorità per l’Energia.
Accostati all’ascesa al vertice della Commissione di Borsa di Giuseppe Vegas, viceministro di Giulio Tremonti all’Economia, questi due spostamenti nell’organigramma delle authority, a cavallo tra Roma e Milano, forniscono una lettura forse addirittura troppo netta dell’aggiustamento degli equilibri politico-istituzionali alla svolta della legislatura. Troiano che si “pensiona” alla Consob non è il ministro Mara Carfagna che preanuncia dimissioni-fuga, ma un po’ ci assomiglia. E Vegas che conquista il vertice Consob non è (ancora) il suo “principale” Tremonti che scala Palazzo Chigi, ma potrebbe esserne un gradino importante e premonitore.
I lettori di questa noterella settimanale si sono probabilmente annoiati a sentirsi speso richiamare simbolicamente il lungo braccio di ferro tra Tremonti (cioè l’uomo di governo della Lega Nord, considerato prima alternativa a Berlusconi) e Gianni Letta (cioè il primo pretoriano dell’inner circle romano del premier). L’esito non è stato comunque quello favorito dal pronostico: in una situazione politica anche solo un po’ meno tesa dell’attuale, vi sono pochi dubbi che avrebbe prevalso Catricalà o comunque la “linea Letta”. In ogni caso: vi sarebbe stata continuità con la Consob di Lamberto Cardia, inalveata nuovamente nel format della “magistratura romana”, lontano da quello del “poliziotto dei mercati”, sul modello della Sec americana o della Fsa britannica (sempre evocato e sempre controverso alla prova dei fatti).
Giuseppe Vegas è sì un navigato tecnico finanze pubbliche, ma è un senatore del Pdl milanese d’origine e novarese d’adozione politica. Oltre che fidato vice, è un buon “clone” di Tremonti: non è leghista, ma è eletto in un collegio dove la Lega conta. Si muove ormai bene nei palazzi romani, ma il suo ultimo libro non lo ha presentato alla Sapienza o alla Luiss, ma alla Bocconi. È figlio virtuale di quel “direttorio Tremonti” che si riunisce ogni lunedì a Milano e che, a cavallo tra fisco e mercato, tra banche e Borsa, tra fondazioni e imprese, scrive parti importanti dell’agenda politico-economica del paese.
Se con Catricalà la Consob sarebbe rimasta un classico “contrappeso” burocratico dei palazzi della politica rispetto agli snodi della finanza e del mercato, quella di Vegas (peraltro tutta da scoprire) si preannuncia più vicina, più partecipe a Milano e a Piazza Affari. E il trasferimento o meno della sede sotto la Madonnina – già chiesto a gran voce dalla Lega – rischia di essere un dettaglio folkloristico.
Chi scrive queste righe può sbagliarsi, ma il riferimento più prossimo potrebbe rivelarsi quello di Enzo Berlanda: il commercialista bergamasco, potentissimo senatore Dc che tenne a briglia stretta la Commissione nella ruggente metà degli anni ’90, quando l’entrata in vigore delle prime norme di mercato (sulle Sim, sull’Opa, sull’insider trading) avviò la reale modernizzazione della Borsa italiana, lanciata verso le privatizzaioni, le fusioni e le acquisizioni.
In retrospettiva, fu una “buona Consob”, quella che pure affrontò situazioni molto difficili (il crack Ferfin in piena Tangentopoli) e decisioni problematiche (come l’esenzione dall’Opa per i noccioli duri formati da Mediobanca su Comit e Credit). Non essendo disponibili figure del calibro di Tommaso Padoa-Schioppa (davvero troppo breve il suo anno in Consob prima di volare alla Bce), Vegas era probabilmente il meglio che potesse offrire il “tremontismo”, inteso come soggettività politica in grado di interfacciare direttamente con la grande finanza del Nord.
Il “lettismo” ha invece perso: almeno a questo tavolo, anche se Catricalà all’Energia potrà avere forte influenza su grandi aziende italiane come Enel, Eni, Edison, A2A e utilities minori. Ma è chiaro che avere sul tavolo, ad esempio, il dossier Premafin-Fondiaria e l’applicazione del nuovo regolamento sulle parti correlate attorno a banche e assicurazioni assegna al presidente della Consob un potere d’intervento molto superiore.
Gli assegna però anche responsabilità non piccole su terreni più largamente politici, nel momento in cui la tutela del risparmio – ma anche “l’impiego” del risparmio nazionale – è un orizzonte strategico: anzitutto di un super-ministro come Tremonti. In giornate segnate da uno stallo drammatico nel big governement nazionale, lo sblocco – questo sblocco – alla Consob non è notizia da poco.