Ora che il Piano per il Sud ha preso forma, proprio allo scoccare dell’ora in cui il Parlamento chiude per ferie (oltre quattro miliardi di euro sbloccati dal Cipe per la Sicilia, cui si aggiunge un programma di 130 infrastrutture da realizzare in dieci anni per rilanciare il Meridione), è il momento per alcune considerazioni. La prima è che il «Piano Sud» in realtà è un «Piano Sicilia», nato dall’alzata di scudi di due rappresentanti isolani del Pdl di un certo rilievo (il sottosegretario Micciché e il governatore Lombardo) e risolto a beneficio unico di quella regione.
Minacciando dimissioni dal governo, defezioni nelle occasioni parlamentari che contano e addirittura agitando lo spauracchio di un nuovo Partito del Sud, Micciché e Lombardo hanno monetizzato la loro consolidata capacità di pressione (trattandosi di siciliani, meglio evitare la parola ricatto). A settembre anche le altre regioni meridionali potrebbero aprire altrettanti fronti di contrapposizione con il governo. Il pidiellino sardo Cappellacci sta già pestando i piedi.
C’è poi un corollario politico a questo piano che, per ora, ha mostrato soltanto il risvolto economico: cioè le ricadute sull’organizzazione del Pdl in Sicilia. Assieme allo sblocco dei fondi, l’obiettivo comune di sottosegretario e governatore (spalleggiati discretamente dal ministro Prestigiacomo) era la coppia Alfano-Schifani, detentrice di eccessivo potere. Berlusconi ha promesso che metterà mano anche all’organigramma del partito nell’isola: a settembre vedremo come si concluderà la partita.
Difficile però ipotizzare su un 2-0 per Micciché-Lombardo.
La protesta meridionalista ha avuto come effetto anche il risveglio della Lega Nord, che stava incassando in soddisfatto silenzio l’approvazione del decreto sicurezza. Poteva tacere Bossi davanti alla minaccia di un partito del Sud? No. Ma invece di intervenire come un generale unionista in una polemica sterile (il partito era evidentemente un paradosso provocatorio), il Senatùr ha aperto due fronti in pochi giorni: la presenza dei nostri soldati in Afghanistan e gli esami di dialetto per i prof.
In entrambi i casi non se ne farà nulla, tuttavia è quel che basta per mettere in guardia il Cavaliere. Non è un gran segnale per il governo il ripetersi di spinte centrifughe, avvisaglia di quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi in vista delle elezioni regionali.
I miliardi per il Mezzogiorno sono accompagnati da importanti stanziamenti del Cipe per l’alta velocità ferroviaria in Padania. Ma la Lega, e il Nord in generale, avrebbero forse digerito meglio il Piano per il Sud se dalla Sicilia fosse arrivato anche un «mea culpa» sulla passata gestione dei fondi per il Meridione. Nei giorni in cui si decidevano i nuovi stanziamenti, ad Agrigento veniva sequestrato l’ospedale appena inaugurato perché costruito con calcestruzzo friabile: ultima cattedrale dello spreco pubblico.
E in Puglia scoppiava con fragore lo scandalo della gestione della sanità sotto la giunta di Nichi Vendola, con inquietanti perquisizioni nelle sedi dei partiti di centrosinistra. Il sospetto è che appalti e lavori ospedalieri, e relative presunte tangenti, obbedissero alla triangolazione regione-partiti di maggioranza-organizzazioni malavitose. Le indagini sulla sanità pugliese erano aperte da tempo; da una di esse, in particolare, era partito il filone sull’imprenditore Giampaolo Tarantini e il giro di ragazze portate a Berlusconi. Ora che il polverone del pettegolezzo si è posato (alimentato non a caso dai giornali vicini al centrosinistra), emerge qual è l’inchiesta più «pesante».
Che impone al governo di stringere i controlli sulle spese delle regioni. Il federalismo fiscale potrà essere uno strumento efficace.