Maurizio Belpietro direttore di Libero è notizia più clamorosa del ritorno di Vittorio Feltri a Il Giornale. L’operazione Feltri è stata spiegata magistralmente da Giampaolo Pansa domenica 2 agosto su Il Riformista: Berlusconi rafforza il quotidiano di famiglia a scapito del concorrente più diretto per aumentare il fuoco di sbarramento e la potenza del contrattacco verso Repubblica, che non accenna ad alleggerire la violentissima campagna contro “Papi” premier.
Quanti piccioni con una fava: un direttore più autorevole e cinico del promettente ma acerbo Giordano, nuove copie senza sforzo grazie ai lettori che seguono ovunque il pifferaio magico Feltri, una linea politica più aggressiva, il segnale che il leader del centrodestra non ci sta a farsi abbrustolire lentamente dalla coppia di girarrostai De Benedetti-Mauro.
Ma Belpietro? Nella tenzone con Feltri, era considerato lui il più berlusconiano: direttore spigoloso de Il Giornale, ringhioso “antipatico” in tv, custode dell’ortodossia a Panorama. Una garanzia per il Cavaliere, una carta sicura, pronta per essere giocata in partite sempre più delicate come la direzione dei maggiori tg. Si trattava di aspettare che il frutto venisse a maturazione.
In realtà il giornalista bresciano è uno che scalpita. Dicono che a Panorama gli mancasse l’adrenalina del quotidiano e che non fosse disposto a gestire i drastici tagli alla sua redazione imposti dalla Mondadori. Che lo spirito di rivalsa verso Feltri, il maestro che l’ha lanciato considerandolo sempre un numero due, avrebbe fatto nuovamente capolino. E un signor assegno degli Angelucci, imprenditori proprietari di una catena di cliniche private ora impelagati in più d’una inchiesta giudiziaria nonché editori bipartisan di Libero e Il Riformista, avrebbe fatto il resto.
La domanda è: basta tutto questo a spiegare la svolta di “Belpi”? È sufficiente rispolverare il complesso di Edipo-Vittorio, il desiderio di rivincita, la voglia di raccogliere sfide impossibili e percorrere strade impervie per giustificare il suo abbandono della corazzata Mondadori (con relative apparizioni sulle reti Mediaset) e l’approdo su un vascello fragile appena abbandonato dal nocchiero che l’aveva varato? Perché un berlusconiano doc, il ricco e blindato direttore del primo “newsmagazine” italiano, va a ostacolare la nuova strategia mediatica del proprio editore licenziandosi e tentando di rilanciare un foglio da ridimensionare?
Ci dev’essere qualcos’altro nella scelta audace di Belpietro. Forse la percezione che la fase discendente della parabola politica di Berlusconi è cominciata e sarà irreversibile. Che i danni provocati dagli scandali a sfondo sessuale potrebbero essere irreparabili. Che il Cavaliere non è più il “deus ex machina” della scena pubblica. E che, per un direttore cinquantunenne il quale ha davanti una carriera ancora lunga, convenga iniziare subito un’azione di riposizionamento. Magari facendo un giornale che dia più voce ai settori del centrodestra oggi meno rappresentati sulla ribalta mediatica, cioè la Lega e Fini.
Soprattutto quest’ultimo, l’eterno delfino cui Belpietro si era molto avvicinato quando, da direttore de Il Giornale, aveva tentato invano la scalata ai tg Rai. Il serbatoio di lettori di centrodestra ma non berlusconiani potrebbe essere più ampio di quanto non si pensi, ed è a questi che si rivolgerà Belpietro. Se così fosse, il segnale lanciato dal nuovo direttore di Libero merita grande attenzione. Tanto più che giunge dal cuore stesso delle fortune berlusconiane, cioè il mondo dei media.