Il primo dicembre del 2011, Francesco Guarguaglini si dimetteva dalla carica di presidente di Finmeccanica a seguito di inchieste giudiziarie che, oltre lui, avevano coinvolto anche sua moglie, ad di Selex, società controllata dalla stessa Finmeccanica.
Il fatto aveva destato ovviamente grande scalpore, dato che Guarguaglini era alla guida del gruppo da una decina di anni, e molti si erano scandalizzati per la “buonuscita” di 5,5 milioni di euro. Poca cosa rispetto a quella di Alessandro Profumo, pari a 40 milioni, e anch’egli comunque indagato, aveva sottolineato Guarguaglini.
Nel gennaio scorso, Guarguaglini è stato prosciolto dalla procura di Roma, che ha archiviato l’inchiesta, ma la notizia ha avuto un rilievo molto più contenuto. Prassi usuale per i nostri media, che ben raramente danno alle assoluzioni lo stesso rilievo dato alle accuse, spesso magari su veline uscite dalle procure prima ancora che l’indagato ne sia informato.
La notizia dell’archiviazione è stata data il 15 gennaio, credo per primo, da Marco Ludovico del Sole 24 Ore, cui ha fatto seguito un’intervista a Guarguaglini di Gianni Dragoni il 17 gennaio, sulla stessa testata. Nell’intervista, l’ex presidente parla chiaramente di dissensi sulle strategie del gruppo con Giuseppe Orsi, allora amministratore delegato di Finmeccanica e suo successore come presidente.
Parrebbe di capire che le dimissioni non sarebbero derivate dall’indagine per false fatturazioni, anzi, Guarguaglini rilancia contro Orsi, che sosteneva allora la necessità delle dimissioni se indagati, mentre ora rimane al suo posto pur sottoposto ad indagine per corruzione internazionale, relativa a una presunta tangente per le vendita di elicotteri Agusta al governo indiano.
E’ un po’ patetico notare che le dichiarazioni di Orsi sono simili a quelle fatte a suo tempo da Guarguaglini: non mi dimetto, a meno che me lo chieda il governo. Il problema vero e più ampio rimane, però, l’apparente abbandono di un principio base del diritto, cioè la presunzione di innocenza fino a provata colpevolezza. Quello di Guarguaglini è l’ennesimo caso in cui il proscioglimento arriva dopo danni, a livello personale e di azienda, spesso irreparabili.
Un altro aspetto è stato più volte richiamato recentemente: la corruzione è un reato, ma in alcuni casi deve essere affrontato con molta prudenza, perché i danni collaterali di un approccio troppo rigido e pubblico possono essere dirompenti. A giudicare dai casi che si stanno accumulando, parrebbe proprio avere ragione Ugo Bertone quando, a proposito di questi casi, parla di “ignobile arte di farsi del male da soli in cui gli italiani eccellono.”
Finmeccanica, Eni, Saipem, le nostre aziende di punta, e già ne abbiamo poche, nel vortice di inchieste giudiziarie a seguito delle quali rischiano di perdere reputazione e commesse, con conseguente svalutazione e “salvataggio” di qualche azienda straniera per un tozzo di pane. Dove sono i nostri politici? A discutere se vale la pena di salvare Scaroni (ma è vicino a Berlusconi!), Orsi (ma è in area Lega!) o magari Profumo, che forse alle primarie del PD c’era per caso, come il suo collega Passera?
In questo panorama non si può dar torto a Massimo Giannini che ieri, su Repubblica, si poneva la domanda, ovviamente retorica: un investitore straniero perché dovrebbe “ fare affari in un Paese del genere?” Giannini, peraltro, rincara pesantemente la dose, citando anche i casi Alitalia, Telecom, Fonsai, Bpm e, ovviamente, Mps.
Giannini dice, ed è difficile dargli torto, che “La bancarotta etica che sconvolge il capitalismo è speculare alla questione morale che travolge la politica.”; il pezzo è in effetti intitolato “L’anno zero del capitalismo”. Personalmente nutro qualche dubbio in più sulla sua frase successiva: “Se mai vedrà la luce, un nuovo governo nato dall’alleanza tra progressisti e moderati potrebbe ripartire da qui.”
E’ facile essere d’accordo sulla premessa, ma a quali progressisti e moderati si riferisce Giannini? Suppongo intenda l’alleanza Pd e Monti, ma include anche la Sel tra i progressisti? E Casini e Fini tra i moderati? Mi pare che la questione morale non sia né di destra, né di sinistra, e non c’entri neppure con progressismo e moderatismo, ma con la dimensione umana delle singole persone e delle comunità, associazioni e raggruppamenti politici in cui vivono e operano. Ma è più facile ragionare per categorie.
Comunque, sarà bene che dalle parti “progressiste”, invece di cercare di scrollarsi di dosso il caso Mps, e visto che si parla di Telecom, si ricordino dei “capitani coraggiosi” di D’Alema e delle indagini su capitali finiti in paradisi caraibici di cui non si sa più nulla, a meno che siano state archiviate, anche queste in silenzio. O magari anche di come è finita la gloriosa Olivetti sotto la gestione De Benedetti, di come ci siamo “liberati” della Omnitel, perché la Telecom non è un unicum, o di certe operazioni borsistiche, come quelle relative alla M&C, tanto per dimostrare che Seat PG non è di certo un apripista.
Per finire, mi sarà concesso qualche dubbio sulle capacità dei nostri progressisti in economia, non solo perché il loro responsabile economico viene regolarmente smentito dal suo partito. Il caso Mps ha dimostrato, ad essere benevoli, una grande dose di incapacità di giudizio, ai limiti di un’ingenuità decisamente riprovevole per chi si vuole occupare di banche e finanza. E ora ecco la vicenda Fonsai che, per chi non lo sapesse, è stata acquistata da Unipol, sì quella del famigerato “abbiamo una banca”.
Si può capire che Unipol potesse essere un po’ “ingenua” di fronte a una banca, visto che di mestiere fa l’assicuratore. Ma Fonsai è una compagnia di assicurazione e Unipol si fa “fregare” così bellamente dai Ligresti in casa propria?