Matteo Renzi ha trovato pane per i suoi denti. Un politico che gli ribatte colpo su colpo, quello che in Italia ancora non si trova. Si chiama Jyrki Katainen, è finlandese e soprattutto non ha nulla meno del nostro presidente del Consiglio: è giovane (41 anni) e ha già fatto il premier. E possiede anche lui un caratterino tra l’arrogante e l’irascibile. In pochi giorni Katainen, che la cancelliera Merkel ha imposto come vicepresidente della Commissione Ue con il compito di non deragliare dalla linea dell’austerità nelle faccende economiche, ha rispedito al mittente le battutine e le pretese di Renzi. Da noi, se il rottamatore fa un annuncio, si apre un dibattito sulla sua «promessite». In Europa fanno prima: lo smascherano. Anche se è presidente di turno.
Renzi aveva detto l’altro giorno che «dall’Europa non ci aspettiamo lezioni». Katainen gli ha ribattuto che «non siamo maestri ma interpreti di quanto tutti i Paesi rispettano gli impegni presi e di quello che hanno promesso agli altri Paesi». Ieri Renzi ha ripetuto che «l’Italia rispetta il 3% ma l’Europa garantisca i 300 miliardi di investimenti». Ma al termine dell’Ecofin di Milano ha incassato un altro rimprovero: «Se hai la ricetta del medico, ma poi non prendi la medicina, non aiuta», ha scandito Katainen. Come dire: l’agenda Renzi è ambiziosa ma l’Ue è perplessa sulla sua attuazione effettiva.
Pier Carlo Padoan è al fianco di Katainen, non di Renzi. Il ministro dell’Economia ha detto che «il controllo europeo sulle riforme è uno strumento utile, un elemento non solo di disciplina ma di apprendimento perché è un controllo reciproco tra Paesi che tra loro si scambiano esperienze». Insomma, quando si esce dal teatrino della politica italiana, per Renzi le cose si complicano. Ci fosse Berlusconi al suo posto, la grande stampa avrebbe enfatizzato l’«impresentabilità» e la cattiva immagine data del nostro Paese. Con Renzi prevale ancora l’indulgenza.
Nemmeno in patria la situazione è rosea per il premier. Il Pd dà segni di crescente insofferenza. Il caso delle primarie in Emilia Romagna è clamoroso: Renzi voleva imporre un candidato concordato con Bersani, cioè il sindaco di Imola Manca, ma due suoi luogotenenti (Richetti e Bonaccini) hanno preteso a ogni costo le primarie, salvo scoprire di essere entrambi indagati per peculato. Uno si è ritirato, l’altro no, con grande imbarazzo del segretario nazionale. Che ora, come ironizza Grillo, schiera l’indagato Bonaccini come favorito per sostituire il condannato Vasco Errani. E Renzi manda giù in silenzio.
Non c’è soltanto la maggiore regione rossa. Tensioni per le candidature regionali lacerano il partito in Campania, Calabria, Puglia, Liguria e nelle Marche. Altri forti malumori bloccano la nomina dei rappresentanti del Parlamento nel Csm e alla Corte costituzionale.
È vero che pesano anche gli scontri interni a Forza Italia, ma al Pd non piacciono né Violante né Catricalà e gli ordini di scuderia vanno a farsi benedire. Non c’è più l’obbedienza granitica del vecchio Pci e appena si presenta l’occasione di un voto segreto la cosa appare evidente.
La parabola di Renzi-faccio-tutto-io ha già preso la fase discendente? È presto per dirlo. Resta il fatto che la sua popolarità cala nei sondaggi, secondo quanto scrive il giornale che finora l’ha sostenuto maggiormente, cioè Repubblica. E ieri a Taranto operai e ambientalisti l’hanno fischiato e contestato pesantemente. Il premier insiste, «ho la testa dura, non mollo e vado avanti perché sugli spalti c’è gente che fa il tifo» per lui. Ma troppi segnali indicano che il vento sta cambiando direzione.