Monopolisti di Stato felici e contenti, potremmo dire in sintesi dopo il decreto liberalizzazioni del governo Monti. Col provvedimento della scorsa settimana si è infatti messo opportunamente mano a diversi vantaggi e protezioni dalla concorrenza di cui hanno sin qui goduto molti servizi privati, ma la mano riformatrice del governo si è rivelata assai più timida nel caso di servizi offerti da grandi settori oligopolistici quali quelli delle assicurazioni e delle banche e non ha per nulla intaccato le posizioni dominanti o monopoliste di fatto di grandi gruppi pubblici, quelli nei quali il monopolista è lo stesso Stato che dichiara di voler liberalizzare.
Si può dire in sintesi, dopo un’attenta lettura del provvedimento, che lo Stato liberalizza gli altri (taluni), ma continua a non liberalizzare se stesso. I servi postali, il trasporto ferroviario, quello pubblico locale, la raccolta dei rifiuti, i servizi idrici continueremo a doverli comprare dal settore pubblico con bassa qualità e alti prezzi o, in alternativa, quando i prezzi sono bassi, con alte sovvenzioni pubbliche coperte a nostra insaputa dalle troppe tasse che paghiamo. Certo, possiamo essere contenti della separazione proprietaria di Snam Rete Gas dal gruppo Eni, ma essa non avverrà in tempi brevissimi, le relative modalità non sono ancora note e se favorirà un’effettiva crescita della concorrenza nel mercato del gas non possiamo ancora dirlo. Meglio quindi aspettare il provvedimento di separazione prima di esultare.
Con le poste e ferrovie, invece, non ci siamo proprio. La separazione proprietaria tra rete ferroviaria e servizi di trasporti, tra binari e treni per intenderci, è rinviata a dopo che un’autorità che ancora non c’è avrà dato una valutazione dei benefici che la separazione risulterà aver prodotto nelle esperienze europee che la hanno adottata, dopo un congruo periodo di osservazione delle medesime. E a tutti i lettori appare evidente che l’aggettivo congruo è utilizzato come sinonimo di lungo. Neppure il decreto ha provveduto a correggere la pessima trasposizione che il governo precedente aveva fatto della terza direttiva europea sui servizi postali, quella che liberalizzava integralmente il mercato del recapito dall’inizio dello scorso anno. Così potremo continuare ad affidarci a un mercato che è nominalmente liberalizzato (di diritto) e sostanzialmente monopolizzato (di fatto) dall’azienda pubblica la quale, nonostante il monopolio, riesce a perdere nel recapito ogni anno parecchi soldi che noi contribuenti provvediamo puntualmente a ripianare.
Ma quanto costa a noi consumatori, e nello stesso tempo contribuenti, non avere utilities altrettanto liberalizzate dei paesi europei più avanzati? Una risposta può arrivare calcolando il beneficio che i consumatori ricaverebbero se, liberalizzando i nostri mercati in maniera analoga ai paesi europei che risultano più liberalizzati secondo il rapporto annuale dell’Istituto Bruno Leoni, potessero trarre vantaggio da identiche condizioni in termini di prezzi unitari medi di mercato al netto delle imposte, imposte medie unitarie, sovvenzioni pubbliche unitarie (ove presenti) e livelli di consumo medi pro capite ove questi risultino in Italia sottodimensionati. Di seguito, settore per settore, i principali risultati dello studio.
Energia elettrica
Ai livelli di prezzo del primo semestre 2011, la spesa annua attesa al netto delle imposte per gli utenti domestici è stimabile in 8,9 miliardi di euro. Se il consumatore italiano pagasse gli stessi prezzi dei consumatori britannici sarebbe invece di 8,6 miliardi. La maggior spesa con prezzi italiani, pari a 315 milioni, corrispondenti a un +3,7% rispetto alla spesa con prezzi britannici, non appare eccessiva e risulta compatibile col grado di liberalizzazione di questo mercato che lo stesso rapporto dell’Istituto Bruno Leoni considera sufficientemente sviluppato, anche se in misura minore rispetto al benchmark britannico. Tuttavia, se rifacciamo il calcolo imposte comprese, la differenza della spesa tra prezzi italiani e britannici diventa molto maggiore: 12,7 miliardi nel primo caso, solo 9 nel secondo. Il maggior esborso dei consumatori italiani risulta in conseguenza pari al 41%.
Gas
Ai livelli di prezzo del primo semestre 2011, la spesa annua attesa al netto delle imposte per gli utenti domestici è anch’essa stimabile in 8,9 miliardi di euro. Se il consumatore italiano pagasse gli stessi prezzi dei consumatori britannici sarebbe invece di 8,1 miliardi. La maggior spesa con prezzi italiani, pari a 730 milioni, corrisponde a un +9% rispetto alla spesa con prezzi britannici. Anche in questo caso, se rifacciamo il calcolo imposte comprese, la differenza della spesa tra prezzi italiani e britannici si accentua notevolmente: 13,9 miliardi nel primo caso, solo 8,5 nel secondo. Il maggior esborso dei consumatori italiani risulta in conseguenza pari al 63%.
Trasporti pubblici locali
Se noi consumatori italiani li comperassimo sul mercato britannico, dovremmo sostenere una spesa maggiore a causa del loro maggiore livello di prezzo: in media 1,6 euro a parità di potere d’acquisto per ogni 10 km percorsi contro 1,2 in Italia. In un anno spenderemmo complessivamente 1,1 miliardi in più. Nello stesso tempo potremmo tuttavia ridurre di due terzi le sovvenzioni pubbliche al settore che scenderebbero da 3 a 1 miliardo, facendoci risparmiare 2 miliardi come contribuenti. Alla fine chiuderemmo con un saldo attivo di circa 1 miliardo.
Ferrovie (trasporto passeggeri)
Anche in questo caso, se comperassimo i servizi sul mercato svedese, che è quello più liberalizzato, dovremmo sostenere una spesa maggiore a causa del loro maggiore livello di prezzo: in media 8,2 euro a parità di potere d’acquisto per ogni 100 km percorsi contro 6,4 in Italia. In un anno spenderemmo complessivamente 800 milioni in più. In tal caso potremmo tuttavia dimezzare le sovvenzioni pubbliche al settore che scenderebbero da 3,3 a 1,6 miliardi, facendoci risparmiare 1,6 miliardi come contribuenti. Alla fine chiuderemmo con un saldo attivo di 840 milioni che potrebbero aumentare sino a 1,4 miliardi se anche i nostri consumi potessero salire ai livelli svedesi.
Poste (servizi di recapito)
Se comperassimo i servizi di recapito postale sul mercato olandese, che è quello più liberalizzato, potremmo risparmiare in un anno, a causa delle minori tariffe olandesi, quasi un miliardo, al quale si aggiungerebbe un ulteriore risparmio di poco inferiore ai 500 milioni sui trasferimenti pubblici. In un anno spenderemmo complessivamente, come consumatori e come contribuenti, 1,4 miliardi in meno. Se invece anche i nostri livelli di consumo procapite fossero simili a quelli olandesi (240 pezzi all’anno per abitante, il triplo dell’Italia) il risparmio sfiorerebbe i 3 miliardi di euro.
Possiamo a questo punto sommare i risparmi possibili per l’insieme dei cinque settori: 5,4 miliardi per il gas (di cui 4,7 per minori imposte), 3,6 per l’elettricità (di cui 3,3 per minori imposte), 1,4 per i servizi postali, 1,1 miliardi per il trasporto pubblico locali e altri 1,4 per le ferrovie, immaginando in questi ultimi due casi che i livelli di consumo pro capite possano crescere sino agli stessi dei paesi benchmark, fanno circa 13 miliardi all’anno. Estendendo il risparmio sul gas anche ai consumi domestici delle utenze condominiali arriviamo a 14 miliardi.
Ipotizziamo pure che lo Stato non voglia/possa rinunciare agli 8 miliardi complessivi di sovratassazione rispetto alla Gran Bretagna di elettricità e gas. Se tuttavia aprisse con convinzione alle liberalizzazioni nelle utilities in cui è monopolista risparmierebbe all’anno 1,6 miliardi in sussidi alle ferrovie, 2 miliardi nel trasporto pubblico locale e quasi 500 milioni nei servizi postali. Il risparmio totale ammonterebbe a 4 miliardi all’anno e con esso potrebbe almeno dimezzare l’esorbitante prelievo fiscale sugli energetici.
A questo punto bisogna tuttavia porre la domanda: perché non lo fa? Perché anche il governo tecnico continua a difendere i monopoli di Stato inefficienti?