L’offensiva è partita da alcune settimane. Silvio Berlusconi fiuta aria pesante per il governo e, senza togliergli l’appoggio sulle riforme (e sulle nomine nelle istituzioni giudiziarie), muove qualche pedina in vista di eventuali elezioni anticipate. Ci sono comunque alcuni appuntamenti elettorali che richiedono al centrodestra di scuotersi dal letargo, a cominciare dalle regionali di novembre in Emilia Romagna per continuare con i sindaci e i governatori della prossima primavera. E la sponda offertagli dalla Corte di giustizia di Strasburgo ha ringalluzzito il Cavaliere.
L’Emilia rimane terreno proibito, anche se il Pd sta facendo di tutto per suicidarsi: il governatore Errani dimesso per una condanna penale, gli aspiranti successori indagati per i rimborsi spese irregolari. Più abbordabili, in primavera, altre regioni come il Veneto guidato dal leghista Luca Zaia o la Campania dell’azzurro Stefano Caldoro. Ma Forza Italia da sola non va da nessuna parte, come del resto la Lega. Che da sola non avrebbe battuto chiodo neppure negli anni d’oro, e tantomeno ora dopo gli scandali che hanno tolto di mezzo la leadership di Umberto Bossi.
La strada obbligata è quella della riunificazione del centrodestra, o di una nuova alleanza. Nei vent’anni del berlusconismo si sono viste numerose varianti della stessa formula, dal Polo delle libertà alla Casa delle libertà. Berlusconi più centristi più Lega, non si scappa. Si è perfino favoleggiato di un contratto tra il Cavaliere e il Senatur, firmato e chiuso nella cassaforte di un notaio.
In passato la reciproca convenienza è sempre riuscita a partorire un accordo. Questa volta si dovrebbe finire ancora allo stesso modo, ma non è detto: lo sfaldamento del partito di Berlusconi e la condanna del vecchio leader non hanno precedenti. Per questo fioriscono i veti incrociati tra i partitini. L’unico che non ha condizioni da porre, almeno al momento, è proprio Berlusconi che senza alleanze è destinato a essere definitivamente messo ai margini.
La Lega non vuole Alfano. È il «ministro all’invasione», come dice Matteo Salvini. Nemmeno Forza Italia vorrebbe di nuovo a fianco il grande traditore, ma la scelta è obbligata. Per il Carroccio è diverso. Oggi padani e azzurri sono entrambi all’opposizione mentre il Ncd sta al governo. Gli alfaniani, dal canto loro, sarebbero ben disposti a un mezzo ritorno a Canossa, ma vogliono conservare autonomia da Silvio. Mani libere e lingua sciolta nel criticare il Cavaliere perché il vecchio centrodestra ormai è defunto. Ma neppure al loro interno gli alfaniani sono compatti: Nunzia De Girolamo, per esempio, ha detto ieri a Sirmione che l’unico in grado di reggere i fili dell’alleanza è Berlusconi (e non i suoi colonnelli) mentre Fabrizio Cicchitto è dell’idea che tutto va riscritto, a partire dalla leadership. Il Ncd a sua volta sta tentando un difficile percorso di unificazione delle sigle centriste, Udc e Popolari, ed è un’impresa nell’impresa.
Del vecchio Pdl non bisogna dimenticare Fratelli d’Italia, che in questi giorni celebrano la festa Atreju a Roma. Il manipolo di ex An al seguito di Giorgia Meloni chiede dignità e alza la voce quando Berlusconi va a Palazzo Chigi o al Nazareno per firmare patti con Matteo Renzi. Anch’essi vogliono la loro parte: per esempio, nessuno gli ha chiesto i voti per eleggere i membri di Csm e Corte costituzionale spettanti al Parlamento.
Al momento, anche rimessi assieme i cocci del fu centrodestra, le prospettive non sono rosee. Il percorso verso la ricomposizione sa troppo di manovra preelettorale. E comunque il dibattito tra i partiti è asfittico, fatto soltanto di bilance e bilancini senza un respiro più ampio, un’idealità che comunque nel passato aveva animato i patti tra Bossi e Berlusconi.
Fatto sta che i numeri – come sempre – parlano chiaro. Nel 2008 il Pdl prese 13,5 milioni di voti (e la Lega altri 3 milioni). Nel 2013 è precipitato a 7,5 milioni di suffragi e nel 2014, alle europee, a 4,5. Nove milioni di ex elettori berlusconiani sono in panchina e aspettano una proposta politica decente. E per il momento devono assistere ai litigi tra Alfano e Salvini.