Come tutti gli anni, questo è il periodo delle previsioni finanziarie per il nuovo anno; un compito a cui è difficile sottrarsi normalmente e che diventa irrinunciabile in periodi volatili e incerti come gli attuali. L’anno che si sta per concludere si è aperto pericolosamente con lo spread ai livelli massimi o quasi, i mercati che sembravano essersi normalizzati nel secondo trimestre fino alla nuova esplosione della crisi dei debiti sovrani a luglio, prima che il vero protagonista dell’area euro del 2012, la Bce di Draghi, decidesse di intervenire nuovamente (“la Bce pronta a qualunque cosa per salvare l’euro. E questo basterà”), aprendo quel processo che ci ha fatto chiudere l’anno con lo spread a 300.
Inutile dire che avventurarsi in previsioni anche solo di massima è un mestiere difficile che si presta poi a facili critiche e che, tra le altre cose, è impossibile racchiudere in poche righe tutti i temi che oggi interrogano i mercati, ma l’esercizio rimane molto utile.
Il primo tema per il 2013 è in realtà in discussione in questi giorni e riguarda le prospettive di crescita dell’economia americana. Infatti, se il Congresso americano non troverà un accordo in tempi brevi sul fiscal cliff per evitare i tagli automatici alla spesa e l’incremento delle tasse, l’economia degli Stati Uniti potrebbe, secondo tutte le previsioni, risentirne molto negativamente. Le previsioni su alcuni particolari settori americani, per esempio quello dello costruzioni, cambiano radicalmente a seconda dell’esito delle discussioni in corso.
A questo riguardo è ragionevole attendersi che i Repubblicani, favorevoli a una riduzione del deficit, alla fine non rischieranno di assumersi la responsabilità di un peggioramento dell’economia americana (il fiscal cliff se non risolto potrebbe avere un impatto negativo sul pil di quasi il 3%) e che un accordo, complice magari qualche segnale di avvertimento dei mercati sotto forma di -2% e -3%, venga raggiunto in tempi ragionevoli. In questo caso si eliminerebbe la principale preoccupazione sull’economia americana e la sua ancora fragile ripresa per il 2013. La crescita dovrebbe quindi accelerare dalla seconda parte dell’anno.
Nell’area euro, invece, si presenta una situazione decisamente più complessa e ricca di incognite. Le politiche di austerity che hanno portato in recessione buona parte dell’Europa nel 2012 non cesseranno completamente nel prossimo anno ed è difficile che si possa trovare un accordo a livello comunitario per evitarne gli effetti negativi sulla crescita, anche se le voci contrarie alle politiche di consolidamento fiscale stanno decisamente aumentando. Anche la “crisi dei debiti sovrani” complici le difficilissime condizioni economiche in cui versano le economie di alcuni paesi dell’area euro, Grecia e Spagna su tutti, non sembra definitivamente risolta e non si può escludere che i mercati non decidano di “testare” nuovamante la risolutezza della Bce nel difendere l’euro. Sia le elezioni in Italia che la fragilità della situazione politica in Grecia potrebbero rappresentare ulteriori elementi di incertezza.
Nonostante questo, il 2012 dovrebbe essere un punto di minimo sostanzialmente per gli effetti delle decisioni prese dalla Bce negli scorsi dodici mesi, anche se la crescita dovrebbe essere di poco superiore allo 0% contro il 2% atteso negli Stati Uniti.
In Italia il miglioramento dovrebbe arrivare dalle esportazioni, con la domanda estera in aumento, e da una positiva dinamica delle scorte. All’appello mancheranno ancora i consumi vittime delle politiche fiscali ristrettive. Escludendo nuovi scossoni finanziari si potrebbe poi aprire una fase abbastanza lunga di crescita debole che arriverebbe dopo la perdita netta in termini di crescita, rispetto ai concorrenti europei, degli ultimi anni.
Anche nel caso italiano il peggio sembra essere alle spalle ed è possibile ipotizzare un’ulteriore riduzione degli spread, che nelle ultime settimane ha sostanzialmente ingnorato le vicende politiche interne. Gli spazi di manovra del prossimo governo dovrebbero essere quindi maggiori di quelli degli ultimi 18/24 mesi ostaggio dei mercati, delle direttive europee e degli spread impazziti; più spazi di manovra e più responsabilità in un sistema economico-sociale che ha ampissimi margini di miglioramento.
Infine, qualche previsione su alcuni variabili economico-finanziarie particolarmente sensibili. Il prezzo del petrolio, complice una ripresa globale debole e un miglioramento della situazione politica in medio oriente, dovrebbe scendere; il dollaro, cause politiche espansive della Fed, dovrebbe indebolirsi leggermente sull’euro. E poi grande “mistero” sull’andamento dell’oro con previsioni anche diametralmente opposte. La variabile chiave dovrebbe essere la situazione economica europea. Se si dovesse assistere a un nuovo peggioramento degli spread la domanda di oro aumenterebbe con effettivi positivi sul prezzo; stessa conseguenza in presenza di ulteriori decise espansioni monetarie delle banche centrali.