Dopo aver ricordato come dovrebbe essere una tassa per essere giusta ed equa, posso adempiere con facilità alla richiesta de Il Sussidiario di scrivere in tema di Imu. Si tratta di un’imposta patrimoniale. Si applica agli immobili e gli immobili sono, sino a prova contraria, un bene reale, non ricchezza finanziaria. Essi pongono pertanto due problemi: il primo è la determinazione del loro valore, necessaria per individuare l’imponibile. Il secondo, poiché non è possibile pagare l’imposta in natura, cedendo al fisco ogni anno la proprietà di qualche decimetro quadro di casa, è comprendere con quale liquidità sarà pagata.
È evidente che sarà pagata utilizzando reddito e data la pessima situazione economica generale, con gli stipendi che al lordo delle imposte non salgono e al netto scendono e l’inflazione del carrello della spesa che viaggia verso il 5% annuo, si tratterà per la gran parte delle famiglie di reddito integralmente sottratto alla spesa che accentuerà le tendenze recessive in atto. Riguardo al primo problema, invece, un riferimento per definire l’imponibile potrebbe essere il prezzo di mercato.
Vi è tuttavia un inconveniente: il prezzo di mercato è il prezzo al quale sono stati comperati e venduti gli immobili oggetto di cessione, meno di uno all’anno ogni trenta totali, non quello degli altri 29 e passa che non sono stati né comprati, né venduti. Cosa succederebbe al prezzo di mercato se un numero non piccolo degli altri 29 e passa venisse posto in vendita nello stesso tempo? È evidente che il prezzo di mercato crollerebbe.
Si potrebbe allora porre il valore catastale dell’immobile pari a una frazione dell’attuale prezzo di mercato, ad esempio un mezzo. In tal modo rispetteremmo almeno un criterio di equità orizzontale e verticale nella definizione dell’imponibile. E invece che si fa? Si utilizza il valore catastale, ottenuto moltiplicando la rendita, assegnata al momento dell’accatastamento di ogni immobile e quindi legata ai valori di mercato di quell’anno, per un coefficiente arbitrario di rivalutazione stabilito in 100 per le abitazioni nel lontano 1992 dalla manovra estiva di emergenza del governo Amato che introdusse l’Isi, antesignana dell’Ici, e rivalutato a 160 dalla manovra autunnale di emergenza 2011 del governo Monti.
In questo modo si amplifica la differenza negli imponibili tra immobili di identico valore commerciale ma accatastati in tempi differenti e può accadere che immobili centrali più pregiati ma più antichi risultino con un valore imponibile più basso a parità di dimensioni rispetto a immobili meno centrali ma accatastati in anni più recenti a condizioni meno favorevoli.
Ma l’iniquità maggiore dell’Imu non riguarda il paradosso dell’imponibile fluttuante sopra descritto, bensì il fatto che si paga anche sulla totalità della prima abitazione. Questa scelta è davvero sconcertante. Se proprio il disegnatore delle imposte sceglie di ignorare tanto Adam Smith quanto Aristotele, dovrebbe essere almeno tenuto a rispettare la Costituzione repubblicana e a tassare solo in presenza di effettiva capacità contributiva.
Ora qualcuno è in grado di spiegarmi in cosa consista la capacità contributiva derivante dall’abitare in una casa di proprietà? Magari coperta per l’80% del valore da un mutuo ipotecario? E se chi lo ha contratto ora è in difficoltà perché espulso dal mercato del lavoro a causa della recessione? Con quale reddito pagherà l’Imu? Abitare in una casa è un’esigenza fondamentale non un consumo voluttuario. Come si fa a tassare? Certo il discorso cambia in relazione a seconde abitazioni o prime abitazioni molto grandi in rapporto alle dimensioni familiari. Ma l’Imu su una prima casa di dimensioni contenute è totalmente inaccettabile (e a mio avviso incostituzionale).
Mi si dirà che la manovra Monti stabilisce per le prime case un’aliquota inferiore rispetto alle seconde e una detrazione più elevata rispetto alla vecchia Ici e con una quota aggiuntiva legata alla numerosità dei figli che prima non esisteva. Vero, però la detrazione in cifra fissa (200 euro) ha l’effetto di esentare una porzione di casa decrescente al crescere delle rendite catastali sul territorio, mentre l’esigenza abitativa delle persone è uniforme e indipendente dalla localizzazione e dalle relative rendite. Con un’aliquota al 5 per mille 200 euro di detrazione esentano 40 mila euro di valore dell’immobile. In una grande città è il costo di un garage. E che dire dei 50 euro di sconto per figlio? Quanto valore catastale dell’immobile esentano? Con un’aliquota al 5 per mille appena 10 mila euro. In una grande città è la frazione del costo di un posto auto all’aperto. Questo è quello che ci riconosce il governo per l’alloggio di ogni figlio.
Attenzione però, per aver diritto a questa esenzione il figlio deve essere residente e dimorante nella casa e di età non superiore a 26 anni. Quindi un figlio disoccupato ultraventiseienne non ha diritto. E neppure un figlio sotto i 26 anni che dimori stabilmente altrove, ad esempio in un’altra città in affitto perché studente universitario.
Ma i vincoli più assurdi riguardano i requisiti per poter usufruire delle “agevolazioni” prima casa (ma sarebbe meglio dire per non subire le penalizzazioni seconda casa). Occorre infatti essere nel contempo residenti e dimoranti. Quindi una casa concessa in comodato gratuito a un figlio o a un genitore non ha diritto al trattamento fiscale prima casa. E se qualcuno ha dovuto trasferirsi per lavoro dalla propria città a un’altra ed è proprietario nella prima e vive in affitto nella seconda non ha diritto al trattamento fiscale della prima casa.
Conservare la casa al paesello quando si trova lavoro altrove è considerato dal fisco un lusso insostenibile. Allo stesso modo un anziano che ha dovuto farsi ospitare in una casa di riposo non ha diritto al trattamento prima casa perché non vi dimora. Conservare la propria casa, i propri arredi, effetti personali, ricordi quando non si è più autosufficienti è considerato dal nostro fisco una pretesa voluttuaria, da scoraggiare con aliquote penalizzanti. Se l’anziano vuole sfuggire al fisco non gli resta che mettere in vendita la casa e mandare al macero le sue cose, dato che molto difficilmente avrà spazio sufficiente per portarsele nella residenza che lo ospita.
Temo che quelle precedenti non siano tutte le iniquità, stranezze e incoerenze che un frettoloso e impreparato legislatore fiscale, esclusivamente interessato al gettito, ha disseminato lungo il testo della nuova imposta. Ve ne saranno sicuramente altre che mi sono sfuggite.
In chiusura di articolo non posso tuttavia non mettere in evidenza come l’Imu sia la prima imposta di cui ho avuto cognizione per la quale, almeno sino a pochi giorni fa, non si sapeva come si sarebbe pagata, quando si sarebbe pagata e neppure con quali regole calcolata. Ora si sa tutto…, tranne tuttavia le aliquote! L’Imu entrerà a buon diritto nel Guinnes dei primati fiscali come la prima imposta al mondo per la quale le aliquote saranno stabilite dopo che i cittadini l’avranno già pagata… Au revoir Adam Smith!
P.S.: Poiché non è bello criticare senza proporre alternative, evidenzio di seguito le quattro caratteristiche di un’Imu equa e molte semplice, in grado di superare tutte le critiche precedenti:
1) Imponibile: valore di mercato medio dell’immobile dell’ultimo triennio ridotto del 40% o 50%; in caso di mutuo ipotecario in essere, valore di acquisto al netto del mutuo.
2) Detrazione: espressa in natura (metri quadri o vani catastali esenti per componente familiare) e spendibile su immobile a scelta (senza vincolo di dimora o residenza). Possibilità di richiedere esenzione totale in caso di caduta di reddito per recessione economica o stato di povertà documentabile.
3) Aliquota standard moderata e uniforme (senza distinzione prima/seconda casa, resa superflua dalla detrazione in natura).
4) Possibilità di incremento limitato da parte dei comuni (sino a +30% dell’aliquota standard) in caso esclusivamente di condizioni finanziarie problematiche dell’ente.
Ovviamente questa proposta ha una robusta controindicazione: non avrebbe infatti prodotto l’elevato gettito atteso dall’Imu effettivamente introdotta. Ma chi scrive è dell’idea che l’equità di un’imposta non debba essere barattata col gettito.
(2 – fine)