Gli inglesi indicano con “old boy network” quella rete di solidarietà che si crea, e dura tutta la vita, tra chi ha frequentato una delle loro università, ovviamente quelle di eccellenza. Apparentemente, da noi la rete è tra gente di grido, di spettacolo, soprattutto. Così sembra, almeno, dalle parti del M5S.
Riscosso in campagna elettorale l’appoggio di Celentano, con tanto di canzone ad hoc, ecco che Grillo candida Dario Fo al Quirinale, da comico a comico. Scusate, dimenticavo, Fo è un premio Nobel, per la letteratura. E’ che, personalmente, la ritengo una bufala, ma da chi ha assegnato a scatola chiusa un premio Nobel per la pace a un appena insediato Obama, non c’è da aspettarsi un gran che.
Da professionista serio, Fo ha rifiutato, sia pure solo per questioni di età, definendo la proposta “Una cosa assurda ma bella”. Completamente d’accordo sulla prima parte della affermazione. Il Nobel ha comunque avanzato una controproposta per il Quirinale: Carlo (Carlin) Petrini. No, pur essendo dello stesso giro, non è un altro comico, è il fondatore di Slow Food, che dice Fo “E’ un personaggio grandissimo, è attivo su molti fronti. Saprebbe fare bene“.
A questo punto si delinea l’Italia che verrà: Carlo Petrini, Capo dello Stato, Beppe Grillo, Presidente del Consiglio, Adriano Celentano, cinema e spettacolo, Dario Fo alla cultura, e all’economia… Già, all’economia? Con un altro dei suoi colpi di teatro Grillo potrebbe proporre Berlusconi, anche lui uomo di spettacolo e non dei peggiori, come ha ampiamente dimostrato.
Un ottimo programma, ma purtroppo i numeri adesso non ci sono, magari con le prossime elezioni. In fondo, è Fo che ha detto, come riporta Adnkronos, “E’ una questione di volontà e soprattutto bisogna provarle insieme le cose. Bisogna andare in scena come in teatro.” , anche se si riferiva alla collaborazione tra M5S e PD.
Tornando alla proposta di Grillo, non credo che neppure lui la ritenesse fattibile, ma solo coerente con il suo programma all’insegna dello “sfascio tutto”: il Presidente della Repubblica dovrebbe essere il presidente di tutti gli italiani e non mi sembra che questa qualifica si attagli a Dario Fo. In questo modo, tuttavia, Grillo manda un segnale preciso e chiaro e cioè che, anche nell’elezione del Capo dello Stato, il suo potere implicito di veto sarà pesante e lui è disposto ad esercitarlo. Un altro grattacapo per Bersani in primo luogo.
Dai resoconti della stampa emergono altri spunti interessanti, come l’invito al PD a guardare “nel ripostiglio della loro memoria e rispolverare i vecchi programmi“, come riporta la Reuters. Sarebbe il caso di precisare quanto indietro il Pd dovrebbe andare nella sua memoria, fino ai tempi di “Ha da venì Baffone”? Pare che Fo si limitasse alla legge sul conflitto di interessi e all’acquisto di armi e aerei.
Infine, sembra che Grillo abbia deciso che alle consultazioni con Napolitano andrà lui di persona. Visto che ha rinunciato a far bombardare il Parlamento da Al Kaida, mi sentirei di escludere un assalto al Quirinale sul modello di quello al Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo. Allora, ci va per chiedere l’investitura a premier, magari previa nomina a senatore a vita? O solo come persona informata dei fatti? O per visitare l’edificio, che comunque ne vale la pena? Insomma, al Quirinale ci va in che veste, o forse meglio, in che giubba?