La legge n. 124 del 2015, contiene, all’art. 17, una delega per l’ennesimo riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Tra i criteri di delegazione, la lett. s) del co. 1 prevede «l’introduzione di norme in materia di responsabilità disciplinari dei pubblici dipendenti finalizzate ad accelerare e rendere concreto e certo nei tempi di espletamento e conclusione l’esercizio dell’azione disciplinare». In attuazione della delega è stato emanato il d. lgs. n. 116 del 2016, che ha modificato l’art. 55-quater del d. lgs. n. 165 del 2001, dedicato al «licenziamento disciplinare».
L’articolo definisce espressamente alcuni comportamenti del dipendente pubblico come inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto di lavoro e li sanziona con il licenziamento disciplinare. L’aspetto di novità sta proprio nella previsione della sanzione estintiva del contratto di lavoro e nella sua qualificazione in termini disciplinari. In tal modo, alla contrattazione collettiva è sottratta la tradizionale competenza a stabilire i comportamenti sanzionabili e la sanzione, ponendosi un problema di validità delle clausole dei contratti collettivi difformi dalla legge. Quanto al giudice, secondo Cass. 26 gennaio 2016, n. 1351, nonostante la tipizzazione legale dei comportamenti sanzionati col licenziamento, esso conserverebbe la possibilità di sindacare la proporzionalità della sanzione al fatto addebitato ed eventualmente annullare la sanzione eccessiva. C’è da chiedersi se ciò valga ancora dopo il d.lgs. n. 116.
Tra i comportamenti che la disposizione colpisce con il licenziamento disciplinare c’è la «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia», di recente balzata agli onori delle cronache. E le modifiche all’art. 55-quater sono una frettolosa risposta ai “furbetti del cartellino”: la maggior punibilità e lo speciale provvedimento per arrivare celermente al licenziamento riguardano, infatti, soltanto questa fattispecie. La sovraesposizione mediatica di questi fatti rispetto ad altri pure previsti dalla norma aggrava la posizione del lavoratore. Non è detto però che gli altri siano meno gravi, mentre totalmente eluso è il problema della (in)capacità del datore di lavoro pubblico
Nel merito, viene ampliata la definizione di “falsa attestazione della presenza in servizio”, non più limitata all’ipotesi di «alterazione dei sistemi di rilevamento», ma estesa, dal nuovo comma 1-bis, a «qualunque modalità fraudolenta posta in essere, anche avvalendosi di terzi, per far risultare il dipendente in servizio o trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta attività lavorativa circa il rispetto dell’orario di lavoro dello stesso» Con l’ulteriore precisazione che della violazione risponde anche «chi abbia agevolato con la propria condotta attiva od omissiva la condotta fraudolenta».
Le innovazioni più rilevanti riguardano la previsione di uno speciale procedimento per l’irrogazione della sanzione disciplinare, caratterizzato dalla celerità dei tempi. Esso è riservato ai casi di falsa attestazione della presenza in servizio «accertata in flagranza ovvero mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze». In tale ipotesi, il co. 3-bis prevede la sospensione disciplinare del dipendente senza obbligo di preventiva audizione dell’interessato. La sospensione è disposta entro quarantotto ore dalla conoscenza che ne abbiano il responsabile della struttura ove il dipendente presta servizio, oppure l’ufficio per il procedimento disciplinare (Ups) se ne viene a conoscenza per primo.
Peraltro, la celerità non è spesso tratto caratteristico della Pubblica amministrazione, perciò il legislatore sì è premunito stabilendo, per un verso, che la violazione del termine non determina la decadenza dell’azione disciplinare né l’efficacia della sospensione cautelare, per l’altro, onde evitare pratiche dilatorie, l’eventuale responsabilità del dipendente che non ha dato corso al provvedimento.
Col provvedimento di sospensione cautelare si dà avvio anche alla procedura per l’applicazione della sanzione disciplinare, perciò contestualmente allo stesso si dovrà procedere alla contestazione scritta dell’addebito e alla convocazione del dipendente dinanzi all’Ups (comma 3-ter). Il passaggio è delicato: l’addebito deve precisamente individuare i fatti contestati, onde consentire la difesa del lavoratore, e il breve spazio temporale previsto può favorire errori e incompletezze nella redazione; la contestualità, inoltre, insegna la giurisprudenza sul licenziamento collettivo, è formula ambigua, passibile di interpretazioni più o meno late e dunque facile fonte di contestazioni.
Il lavoratore deve essere convocato con un preavviso di almeno quindici giorni per esporre le proprie difese, l’audizione è differibile per una sola volta e per non più di cinque giorni in caso di impedimento assoluto, grave e oggettivo. Comunque il procedimento deve concludersi entro trenta giorni dal momento in cui il lavoratore ha ricevuto la contestazione dell’addebito, fermo restando ancora una volta che l’inosservanza dei termini non preclude, di norma, l’azione disciplinare né invalida la sanzione irrogata.
Oltre al procedimento disciplinare, scatta la denuncia al pubblico ministero e la segnalazione alla Corte di Conti, entro quindici giorni dall’avvio del procedimento disciplinare (comma 3-quater), mentre sarebbe stato opportuno attendere l’esito di quest’ultimo, che non è detto debba per forza concludersi con il licenziamento. Inoltre, in presenza dei presupposti di legge, può sorgere la responsabilità del dipendente per danno da immagine, per un ammontare valutato equitativamente dal giudice, ma non inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio.
Affidandosi ancora al “bastone” per far funzione l’amministrazione pubblica, infine, il legislatore delegato dispone, al comma 3-quinquies, il licenziamento disciplinare per l’omessa sospensione cautelare e attivazione del procedimento disciplinare senza giustificato motivo da parte del dirigente dell’Ups o del responsabile del servizio competente, che abbiano avuto notizia dell’infrazione.