Perseverare diabolicum? A pensar male, ecc. ecc. Ma il caso Santander-Montepaschi non è cosa da vecchi proverbi: non lo è mai stato. Fin da quando il Santander ha venduto l’AntonVeneta a Siena quasi nell’arco di una notte, per una cifra di 10,1 miliardi, scolpita nei bilanci dell’unica banca italiana poi crollata, ma non sotto i colpi della crisi globale.
È una storia che su queste pagine abbiamo raccontato ormai molte volte: una banca veramente collassata ben prima di Lehman Brothers – l’olandese Abn Amro – fu “salvata” nel 2007 da altre banche poi nazionalizzate nel 2008 (la britannica Rbos e la belga-olandese Fortis) oltreché dallo stesso gigante gestito dalla famiglia Botìn (ora alla sua quarta generazione con Ana Patricia). Quella banca appena due anni prima si era aggiudicata AntonVeneta al termine della sanguinosa estate delle Opa bancarie in Italia, fatale per il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, per la Popolare di Lodi di Gianpiero Fiorani ma anche per l’Unipol di Giovanni Consorte che puntava a Bnl.
Nell’autunno 2007 Antonveneta viene dunque “restituita” all’Italia via Londra e Madrid: l’allora presidente del Montepaschi Giuseppe Mussari propone l’operazione al suo consiglio giustificando l’ottima occasione strategica (nel vincolo di non diluire troppo la Fondazione Mps) e il probabile interesse concorrente di Bnp Paribas, che si era appena assicurata Bnl. Mps acquista e paga e la Banca d’Italia non ha obiezioni.
Sette anni dopo Mps vale pochi centesimi in Borsa e resta la prima pecora nera della nuova vigilanza Bce, nonostante gli sforzi di Alessandro Profumo come presidente d’emergenza: rimane in attesa di giudizio e soprattutto di nuovi capitali e possibilmente di nuovi partner e di un nuovo destino strategico. In Borsa vale pochi centesimi, anche se ieri ha messo a segno uno spettacolare +12,3% proprio sui rumor legati a un aumento di capitale da 7,5 miliardi da parte del Santander, che sarebbe stato lanciato in vista di un intervento su Siena. Dove – non va dimenticato – la magistratura inquirente e giudicante locale è al lavoro da un paio d’anni sul crac: anche se probabilmente tenendosi ai margini di una delle più longeve e vaste “terre di mezzo” fra finanza e politica locale (rigorosamente Pci-Ds-Pd).
Ora dunque il Santander arriverebbe per la seconda volta, con i panni del “cavaliere bianco”. Per sotterrare la Chernobyl senese da cui pochissimi in Italia possono dire di non essere stati contaminati (neppure gli spagnoli, né la vigilanza nazionale)? Perseverare diabolicum, a pensar male, ecc. ecc. È vero che il “deal” si presenterebbe a suo modo equo: la banca che ha combinato il guaio lo riparerebbe mettendoci soldi veri; e cadrebbe l’unico campanile bancario italiano veramente indifendibile.
Forse c’è da davvero da sperare che ieri in Piazza Affari non sia andata in onda una mosconata piccola-piccola.