Nella settimana dal 7 al 12 marzo si è svolta nella nostra scuola secondaria la “settimana di didattica laboratoriale”. L’iniziativa aveva lo scopo di sperimentare nuovi percorsi didattici fondati sull’osservazione e la manipolazione diretta della realtà, su cui innestare i contenuti teorici. È da tempo che la nostra scuola cerca di conformarsi a questa impostazione, che sembra dare frutti veramente sorprendenti. Ne è prova la vigna didattica, che abbiamo piantato nei pressi del plesso scolastico, da cui abbiamo ricavato il pregiato lambrusco Vladimiro, il laboratorio di giardinaggio col progetto “Fruttuose differenze”, sulla biodiversità, il laboratorio di creta e ceramica e altri ancora. Si tratta di rovesciare i termini canonici dell’insegnamento – apprendimento: non dall’astrazione, dalla lezione frontale, dal libro di testo all’applicazione, ma dall’osservazione e manipolazione della realtà ai concetti astratti, attraverso un percorso di sperimentazione e razionalizzazione. Nella settimana di didattica laboratoriale abbiamo sconvolto l’orario della scuola media realizzando due laboratori per classe con diversi insegnanti che hanno lavorato in compresenza (aumentandosi l’orario settimanale): il laboratorio di strumenti musicali che ha prodotto strumenti musicali realizzati artigianalmente dagli alunni, il laboratorio di erbe aromatiche e officinali, che ha prodotto un erbario medievale nella tradizione del monachesimo irlandese, il laboratorio di architettura che ha prodotto plastici lignei di due noti edifici, il laboratorio di iconografia che ha prodotto icone del Cristo di Rublev, il laboratorio di danze etniche, che ha trasformato un gruppo di alunni/e in danzatori provetti e, infine, il laboratorio “Noi e gli altri vicini”, con una full immersion nella cultura dei popoli del nord Africa. Le valutazioni degli alunni, raccolte per iscritto in un questionario di verifica, sono state entusiastiche. Che sia questa la strada per una didattica in grado di coinvolgere anche “i nativi digitali”?
Di seguito il report della prof.ssa Sandra Pellati sul laboratorio di iconografia.
Giuliano Romoli, coordinatore didattico della scuola primaria e secondaria di primo grado “Vladimiro Spallanzani” di Casalgrande (RE)
Come ogni avventura che si rispetti non puoi mai sapere all’inizio cosa ti riserverà davvero: fai mille progetti, mille ipotesi ma nulla sarà mai come te lo sei immaginato… e così è stato anche per questa meravigliosa avventura del laboratorio di iconografia.
Siamo partiti in quattordici, dodici ragazzi e due insegnanti, tutti titubanti anche se ciascuno per motivi differenti. Noi insegnanti avevamo preparato tutto nei dettagli, sicure della bellezza e dell’importanza di ciò che ci stavamo accingendo a fare. Ma rimaneva un grosso timore: saremmo riuscite a trasmettere qualcosa di quella bellezza che ci aveva affascinato e fatto innamorare, anche a questi “ragazzi di oggi”, così lontani dal mondo degli antichi iconografi scopritori del mondo di Dio?
La sfida era grande e decidemmo di girarla a loro, perché erano loro i protagonisti di questo viaggio.Raccontare a dodici ragazzi di seconda media cosa significa partire alla ricerca del Volto dell’Altro non è facile: l’arte dell’iconografia richiede minuziosa attenzione, richiede anche parole di spiegazione, richiede ascolto e pazienza. Ma fin dal primo giorno, questa pazienza e questo ascolto hanno contraddistinto i “nostri” ragazzi, superando anche le più alte aspettative.
E così, dodici ragazzi di dodici anni per qualche giorno si sono trasformati in iconografi, lavorando in atelier, ascoltando musica classica e utilizzando legno gessato, oro e colori all’uovo, proprio come nella antica tradizione. All’inizio tutti loro erano un po’ dubbiosi, qualcuno si era dimostrato decisamente scettico e reticente, qualcuno più disponibile ma nessuno di loro si è chiuso alla novità, permettendo così allo Spirito di soffiare e di condurre non soltanto le loro mani di iconografi, ma in particolare il loro cuore, all’incontro con la Bellezza. E così è avvenuto.
Quando siamo partiti, la figura del Cristo di Rublev era per loro semplicemente qualcosa da riprodurre, ma piano piano, tutti hanno compreso il valore e l’importanza di ogni singola linea, di ogni piccolo particolare, di ogni sfumatura, schiaritura di colore. Così alla fretta di veder realizzato il lavoro si è sostituita la minuzia e l’attenzione per ciò che si stava facendo, senza fretta di arrivare, nella gioia di un percorso a piccoli passi.
Mai avremmo pensato di vedere così tanto impegno nella ricerca di un colore, di una schiaritura più perfetta, di una linea più precisa… o di vedere una così attenta osservazione di una immagine per poterne riprodurre la profondità e l’espressione.
Ogni giorno non mancava la preghiera: i ragazzi non hanno mai iniziato il lavoro senza la preghiera, ricordandosene sempre, loro per primi… e così lo Spirito ci ha davvero guidato nei nostri passi. E ciò che noi abbiamo potuto vedere e toccare con mano durante il trascorrere dei giorni, ci ha lasciato senza parole, con il cuore colmo di stupore prima di tutto e poi di gratitudine.
Quando pensiamo ai ragazzi di oggi, siamo abituati a considerarli immersi nel loro mondo frettoloso, virtuale, fatto di suoni e colori accecanti… social network, musica alta, rapporti superficiali e forse è davvero così quello che sono costretti a vivere. Ma cosa cerca il cuore dei nostri ragazzi ancora oggi, cosa li rende veramente felici forse ci sfugge o forse non ce lo siamo chiesti abbastanza.
Ciò che ha stupito noi, dopo questo laboratorio, è che un mondo così apparentemente “altro” da loro abbia potuto toccare il loro cuore e farli fermare un attimo a creare qualcosa di lento, paziente, bello. Nessun mordi e fuggi, nessuna bellezza dai canoni moderni, niente di scontato… Soltanto un Cristo-Bellezza fatto di ricerca, di preghiera, di ascolto, di condivisione con i compagni e gli insegnanti.
E questo ha reso belli i loro volti: sereni, soddisfatti del loro lavoro, mai in competizione o in lite, mai ripresi o sgridati, sempre impegnati.
Si può azzardare a dire che quello che è avvenuto in quel laboratorio è stata una sorta di trasfigurazione, una piccola trasfigurazione quotidiana, di quelle che avvengono senza rumori ma che sanno di miracolo, che sanno di Dio. Per questo le nostre icone sono “vere icone” perché dipinte nella luce del Tabor, proprio come vuole la tradizione.
La finestra del Paradiso si è aperta e ha lasciato passare la Luce che ci ha raggiunto e ci ha permesso di incontrare il Volto che stavamo cercando. Il Volto dell’Altro che si può sì dipingere su una tavola, ma che si incontra in chi ci sta vicino e che richiede sempre attenzione, ascolto e pazienza. E questi ragazzi, inconsapevoli protagonisti di un miracolo, sono il dono che forse noi, gente di poca fede, non ci aspettavamo di ricevere.
(Sandra Pellati)