Non è facile distinguere fra dinamiche geopolitiche e di mercato nell’analizzare la mossa – abbastanza “schocking” – della Banca nazionale svizzera. La fine della difesa del cambio euro/franco a 1,20 sconta infatti che il prossimo consiglio Bce (in calendario giovedì 22 gennaio) formalizzerà decisioni operative sul cosiddetto “Quantitative easing” dell’euro. È quanto prevedono da mesi le più disparate categorie di “addetti ai lavori” di tutto il mondo: compreso il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama, compreso il teorico “attor principe”, il Presidente stesso della Bce, Mario Draghi, affacciatosi ieri sulla tedesca Zeit per un appello finale. Ma la somma delle parole spese a favore di una politica monetaria espansiva nell’eurozona non rompe la barriera del “wishful thinking” (dell’”ottimismo della volontà”) come una sola manovra concreta da parte di un operatore-chiave come la banca centrale di un moneta di riserva, in una piazza-crocevia di enormi flussi di capitali internazionali.
La Bns, dunque, “crede” che Draghi ce la farà a vincere e convincere la Bundesbank, anzi lo “vota” in anticipo. Ci “scommette” e nel contempo preme al confine settentrionale, sulla “fortezza-Germania”: la “svalutazione” dell’euro sul franco svizzero è già un pezzo di “allentamento”, è qualcosa che spinge gli investitori ad aggiornare in tempo reale i loro scenari. «La parità euro-dollaro non è più da escludere in un arco di tempo inferiore all’anno, dice Luca Passoni, chief investment officer di AdvamPartners Sgr, che pochi giorni fa su queste pagine si era spinto a fissare a quota 1,1 il target fra le due principali valute del pianeta».
È in ogni caso una pressione – quella della “Svizzera offshore” nel cuore dell’Europa – che può giungere particolarmente insidiosa per i rigoristi tedeschi, tuttora asserragliati nella loro trincea. La Svizzera che regala a Draghi la “spintarella” finale parla tedesco: non angloamericano. È una community – quella dei banchieri di Zurigo e dei loro clienti cosmopoliti – che sintetizza tradizionalmente molti sentiment: oggi, può darsi, anche quelli di una parte del big business tedesco, che comincia a soffrire i molti rigori finora auto-imposti dall’amministrazione Merkel e dalla Buba (dall’euro intoccabile alle sanzioni alla Russia). Con la Bns che decide di tornare ad avere le mani libere, comunque, viene meno un compratore quasi strutturale di titoli di Stato dell’euro: quelli che – per l’’appunto – si candida a sostenere la Bce.
Un euro più flessibile sembra d’altronde ormai più appetibile per tutti in Europa: non solo per i governi alle prese con recessione e disoccupazione, ma anche per i grandi gruppi in crisi di utili; e quindi anche per grandi investitori a caccia di nuove “storie”, ora che Wall Street sembra aver riempito molto del suo potenziale di crescita. Nessuno, ieri, sui mercati, si è lasciato distrarre troppo dal tonfo della Borsa di Zurigo. Tutti hanno cominciato a guardare alla svolta di gruppi (e sono molti nell’eurozona) che competono nell’area del dollaro per le vendite e in quella dell’euro per i costi (ieri, per certi versi, ne ha beneficiato l’Eni, blue chip italiana per eccellenza).
Ma il sommovimento della “nuova Svizzera” (quella che sta sbiancando la sua carta da visita rispetto alle ri-regolazione internazionali sia fiscale che anti-riciclaggio) si è avvertito perfino in Estremo Oriente: l’euro si è alleggerito anche contro lo yen. Ogni dado ormai è tratto: il conto alla rovescia è cominciato. Finirà a ora di pranzo di giovedì prossimo, quando la Bce comunicherà le decisioni dei 19 governatori dell’euro (dall’1 gennaio della zona monetaria fa parte anche la Lituania). Poi parlerà Draghi in conferenza stampa. Ma la sveglia elvetica promette già che i prossimi giorni saranno tutt’altro che sonnolenti.