Nel perdurante silenzio di Silvio Berlusconi, è inaspettatamente toccato a Renato Schifani gettare una pietra nello stagno della politica italiana. Una pietra pesante, che certifica le gravi difficoltà in cui versa la maggioranza di centrodestra.
Schifani, seconda carica dello stato, ha ufficializzato una parola che nelle discussioni di queste settimane era finora aleggiata come semplice ipotesi: elezioni.
«Compito della maggioranza – ha detto ieri il presidente del Senato – è garantire che in Parlamento il programma del governo trovi la compattezza degli eletti per approvarlo. Se questa compattezza viene meno, il risultato è il non rispetto del patto elettorale. Se ciò si verificasse, giudice ultimo non può che essere, attraverso nuove elezioni, il corpo elettorale».
Se a evocarle è una delle alte cariche, le elezioni anticipate in primavera non sono più un tabù. La dichiarazione di Schifani suona come un ultimatum in diverse direzioni. Prima di tutto è un avviso rivolto a Fini: la maggioranza deve dimostrare compattezza e in caso di strappi non teme di andare alle urne. E se Fini è la testa di ponte del fronte che punta a scalzare Berlusconi, sappia che il Cavaliere è disposto ad anticipare la mossa, cioè costringere Napolitano a sciogliere il Parlamento. Cosa che l’ex leader di An teme sommamente perché segnerebbe il suo ridimensionamento.
In secondo luogo, Schifani parla all’opposizione. Nemmeno a Bersani conviene il voto anticipato, troppo poco tempo per rimettere in sesto un partito che ha cambiato tre segretari in due anni e competere nelle urne con qualche speranziella di vittoria.
Ieri mattina, il presidente del Senato aveva lanciato un messaggio chiaro al Pd: riforme istituzionali e processo breve «devono stare su piani diversi». Anna Finocchiaro ha apprezzato l’apertura che tiene in gioco l’opposizione su un versante decisivo per il futuro della legislatura, quello delle riforme.
Resta il fatto che se il Pd si presta al gioco di sponda di chi vuole ribaltare l’esito del voto del 2008, otterrà come risultato una nuova tornata elettorale.
Terzo destinatario del messaggio di Schifani è Napolitano: vero che spetta a lui sciogliere le Camere, le parole dell’inquilino di Palazzo Madama non toccano le prerogative del Notaio della Repubblica; ma il Quirinale deve aver chiaro che non c’è spazio per manfrine, pastette, governi del presidente o governissimi. Con questo sistema elettorale, la coalizione che ha un voto più dell’altra ottiene il premio di maggioranza, e in queste condizioni il risultato più probabile resta una vittoria di Berlusconi.
E della Lega, che vedrebbe rallentato l’iter del federalismo fiscale, ma raccoglierebbe un vasto consenso soprattutto grazie anche alla coincidenza con le elezioni regionali.
È evidente che Schifani si fa interprete del malumore del premier. Il Cavaliere tace perché se parlasse farebbe saltare il tavolo, esasperato com’è dall’assedio in cui è stretto. Crescono le voci di un provvedimento giudiziario a suo carico in arrivo da Palermo. Un lodo Alfano bis tramite legge costituzionale è un percorso troppo lungo per tranquillizzare il capo del governo. Occorrono misure più rapide e condivise. Altrimenti il gioco si fa duro e si tornerà a votare.