Ha ragione il governo quando sostiene che nel 2013 l’Italia uscirà dalla recessione oppure hanno ragione consumatori e imprese a non fidarsi e a continuare a rinviare scelte di consumo e investimento, in questo modo allungando la crisi? Gli organi di stampa tradizionali non fanno altro che diffondere i messaggi governativi, i quali a loro volta cercano di diffondere ottimismo, e non provano a verificare in maniera autonoma se questa analisi è verosimile, e quindi difendibile, oppure priva di solide ragioni. Proviamo allora a farlo noi andando a vedere le differenti caratteristiche della recessione in corso rispetto a quella drammatica del 2008-09.
Ma prima facciamo un rapido ripasso delle analisi del governo pescando qua e là tra le dichiarazioni rilasciate nelle ultime settimane dai suoi principali esponenti. Un primo frammento riguarda il primo ministro Monti ed è tratto dalla testata online Lettera43 del 20 settembre scorso: «Mario Monti ha visto la luce. Dopo aver annunciato nei mesi scorsi che la fine del tunnel della crisi è vicina, il premier si è detto sicuro che il 2013 “sarà l’anno della ripresa”. Infatti, ha spiegato al termine del Consiglio dei ministri che ha approvato la nota di variazione al Documento di economia e finanza (Def), “il cardine della nostra politica di risanamento dei conti pubblici rimane invariato, cioè l’obiettivo del pareggio strutturale nel 2013” che rappresenta “l’ancora” della nostra politica di bilancio».
Bisogna anche dire che in quel Consiglio dei ministri il governo ha rivisto al ribasso le stime del Pil portandole al -2,4% per il 2012 dal precedente -1,2% indicato nel Def solo lo scorso aprile. A far le previsioni economiche i nostri tecnici non sembrano dunque così bravi e, inoltre, nello stesso articolo del 20 settembre, possiamo leggere quest’altra dichiarazione del Presidente del consiglio: «“Non stiamo lavorando per l’aumento delle tasse o delle imposte, ma per ridurre la spesa pubblica. Fieno in cascina ce n’è con la spending review, vogliamo evitare l’aumento di due punti dell’Iva, una misura fiscale regressiva” e continuiamo a farlo per scongiurarlo “sine die”. Il Prof ha sostenuto che il termine “stangata” faccia parte del “linguaggio del passato”, mentre il governo lavora in senso opposto per tagliare la spesa ed evitare nuove tasse».
Come sia andata a finire lo sappiamo benissimo. Dalla dichiarazione di Monti sopra riportata a oggi non è passato neppure un mese, ma della spending review non si è più parlato mentre pagheremo più tasse grazie all’ultimissima manovra che non si chiama più così e dichiara di abbassare la tasse, ma in realtà ha sforbiciato le detrazioni fiscali e aumenta di un punto ciascuno le due aliquote dell’Iva, provvedimento quest’ultimo che colpisce di più i poveri ed è dunque regressivo, come giustamente ricordato nella dichiarazione dello stesso Monti. Ma non chiamiamola “stangata”, parola poco consona allo stile sobrio del governo in carica.
Il secondo cameo è del Ministro dell’economia Grilli: «“L’attività economica dovrebbe riprendere a espandersi già nella prima parte del 2013, sia pure a ritmi molto contenuti, per poi portare a una graduale accelerazione nella seconda metà dell’anno”. Lo afferma il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, nel corso dell’audizione sul Def nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Nel medio periodo, spiega il ministro, “la crescita dell’economia si riporterà al di sopra del punto percentuale annuo grazie alla stabilizzazione del quadro economico e finanziario internazionale e all’effetto dei rilevanti interventi strutturali operati dal governo”. Nel 2014-2015 il Pil crescerebbe rispettivamente dell’1,1% e dell’1,3%, “riflettendo sia un miglioramento ciclico, sia una ripresa della crescita potenziale del Pil”. La minore crescita per il 2012 (-2,4%) “è dovuta principalmente a una marcata contrazione della domanda interna”» (Adnkronos, 3 ottobre).
Il terzo, in linea col precedente, è del Ministro dello sviluppo economico Passera: «La fase di recessione potrebbe essere già superata nel 2013. Se ne è detto convinto il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, durante un intervento telefonico per la 21esima Convention Mondiale delle CCIAA che si protrarrà fino al 17 ottobre a Perugia. Passera non ha infatti escluso che l’Italia da qui al prossimo anno “possa risalire di quei 2 punti, 2,5 punti per tornare non certo a un grande livello, alla crescita zero, ma comunque rispetto all’andamento di quest’anno è un cambio di direzione forte”» (Asca, 15 ottobre).
Ovviamente se la minor crescita rispetto alle previsioni dei ministri tecnici è dovuta a un’inattesa marcata contrazione della domanda interna (per consumi e investimenti) è evidente che, poiché prevedono l’inversione del ciclo, i medesimi siano assolutamente certi che le cause che hanno fatto contrarre la domanda interna siano in corso di superamento. Quindi gli italiani disporranno sicuramente di più reddito (Grazie a cosa? Più occupati? Più salari? Meno tasse?) che potrà alimentare maggiori consumi i quali convinceranno finalmente gli imprenditori, tra cui la riottosa Fiat, a riprendere a investire. Ne siamo proprio sicuri? I giornali che hanno riportato queste dichiarazioni governative ne sono proprio sicuri?
La realtà è ben diversa e lo possiamo dimostrare scattando qualche “foto”, come si fa per controllare le variazioni dei ghiacciai o della calotta polare artica, alla recessione in corso e confrontandola con foto analoghe della recessione precedente, quella drammatica del biennio 2008-09. La primo “foto”, in realtà un grafico, riguarda la dinamica del Pil italiano. Il valore del Pil reale a livello trimestrale è stato posto uguale a 100 sia nel primo trimestre 2008, sia nel secondo trimestre 2011 (trimestri zero nel grafico 1). Infatti, è a partire da questi due periodi che è iniziata la discesa, evidenziata dalla linea blu per la recessione del 2008-09 e dalla linea rossa per la recessione in corso.
Grafico 1 – Pil reale dell’Italia nei trimestri successivi all’inizio delle due recessioni
Quello che è evidente dal grafico 1 è la diversa gravità delle due crisi: nella prima recessione andarono perduti nell’arco di quattro trimestri circa sette punti percentuali di Pil, in quella attuale la contrazione nello stesso periodo è stata solo di due punti e mezzo. Questa differenza è favorevole. Prendiamone dunque atto, ma andiamo anche a vedere quali sono state le cause che hanno prodotto le due recessioni. Nel grafico 2 osserviamo l’andamento delle esportazioni del nostro Paese.
Grafico 2 – Esportazioni reali dell’Italia nei trimestri successivi all’inizio delle due recessioni
Dal grafico 2 è evidente la causa principale della prima depressione: in soli quattro trimestri per effetto della contrazione mondiale le esportazioni dell’Italia si sono complessivamente ridotte di quasi il 25% (e l’export è più di un quarto del nostro Pil). Ma la seconda recessione, al contrario, non è per nulla dovuta alla domanda estera di prodotti italiani, dato che essa non è sinora scesa, pur essendosi sostanzialmente fermata. Bisogna quindi andare a vedere quella interna. Il grafico 3 ci mostra la caduta degli investimenti.
Grafico 3 – Investimenti reali dell’Italia nei trimestri successivi all’inizio delle due recessioni
Come possiamo osservare, in occasione delle due fasi recessive vi è sempre stata una contrazione degli investimenti: più consistente nella prima recessione, oltre 15 punti percentuali in sei trimestri, e meno nella seconda, dato che sinora la riduzione è stata di circa il 9%. Perché, ci chiediamo, le imprese hanno ridotto gli investimenti? Nel primo caso è evidente: a causa del crollo della domanda estera di prodotti italiani. E nel secondo? La colpa evidentemente non può essere dell’export. Che sia dei consumi? Andiamo allora a vedere, con il grafico 4, la dinamica dei consumi delle famiglie italiane.
Grafico 4 – Consumi reali delle famiglie italiane nei trimestri successivi all’inizio delle due recessioni
Direi che abbiamo trovato il colpevole della recessione in corso: la caduta dei consumi, molto più consistente rispetto alla prima recessione. Nel 2008-09 i consumi delle famiglie si ridussero complessivamente in termini reali solo poco più del due e mezzo per cento in cinque trimestri, mentre nell’ultimo anno, quindi in quattro trimestri, si sono contratti quasi del 4%. E perché i consumi sono crollati? Forse perché l’incertezza ha indotto le famiglie ad aumentare la propensione al risparmio (la quota di reddito disponibile non consumata)? No, l’Istat sta anzi documentando una notevole riduzione della propensione al risparmio.
Allora forse i consumi si sono ridotti perché si è ridotto il reddito disponibile delle famiglie. Ma il reddito disponibile non è altro che il prodotto del salario medio per il numero degli occupati meno il prelievo fiscale. E quindi con salari che non crescono, con gli occupati che si riducono e con le tasse che salgono i consumi non possono che contrarsi e con essi anche il Pil, visto che ne rappresentano il 60%. Nel 2012, nel 2013 e forse anche nel 2014. Smettiamola quindi di diffondere illusioni governative.