Nei giorni scorsi il Monte dei Paschi di Siena è tornato tragicamente alla ribalta con il suicidio di David Rossi, capo della comunicazione della banca. Rossi non era indagato, ma, a quanto pare, era stato sospettato di essere la “talpa” che aveva fatto uscire notizie riservate dal CdA a porte chiuse tenutosi il 28 febbraio. Sospetti che, a questo momento, sembrano del tutto infondati. In quel Consiglio di Amministrazione, il nuovo management ha deciso di intraprendere azioni di responsabilità contro l’ex presidente, Giuseppe Mussari, e l’ex direttore generale, Antonio Vigni, e di citare in giudizio presso il tribunale di Firenze anche Nomura, per 700 milioni di euro, e Deutsche Bank, per 500 per operazioni su derivati.
Quest’ultima notizia non doveva assolutamente uscire prima del deposito della denuncia in tribunale, avvenuta la mattina del 1° marzo, per evitare contromosse dalle altre due banche, ma è stata invece pubblicata lo stesso giorno da Il Sole 24 Ore. Sempre il 1° marzo, anche Nomura ha presentato un suo esposto a un tribunale londinese, mentre non si sa di azioni intraprese da Deutsche Bank.
La questione può sembrare marginale, ma se Nomura fosse riuscita a presentare la sua richiesta prima di Mps, il foro giudicante sarebbe stato Londra, piazza di solito molto più aperta nei confronti delle istituzioni finanziarie. Secondo ultime notizie, da verificare, sembrerebbe che Mps abbia preceduto Nomura e che quindi la causa verrà discussa in Italia. La banca giapponese avrebbe chiesto al tribunale inglese di riconoscere validi i contratti firmati dal vecchio management della banca, così da essere ritenuta non responsabile per i danni derivanti dal veicolo Alexandria, l’operazione sui derivati da lei gestita.
L’impressione è che i giudici italiani dovranno impegnarsi a fondo, perché nel leggere le cronache del caso sembra di assistere a un casareccio Wall Street, dove il maggior candidato al ruolo di Gordon Gekko parrebbe essere Baldassari, l’ex responsabile dell’area finanziaria.
Il dato sorprendente è che Nomura non è all’origine di Alexandria, ma l’ha acquisita nel 2009, quando già le perdite si stimavano a 200 milioni di euro, sostituendosi alla tedesca Dresdner Bank, con la quale il veicolo era stato costituito nel 2005. Lo scopo era quello di “spalmare” le perdite su un periodo temporale molto lungo e senza farle apparire in bilancio, dove infatti non sono mai apparse. Di conseguenza, la magistratura sta mettendo in discussione i bilanci di Mps a partire dal 2008/2009.
L’inchiesta riguarda anche l’analogo veicolo Santorini con la Deutsche bank, il cui scopo era di spalmare perdite su titoli, e verifiche vengono fatte su altre operazioni similari, pur di dimensioni più ridotte. Per il momento l’unica cosa certa è che le banche straniere, e i loro manager, hanno intascato cospicui compensi, stabilirà il tribunale se legittimamente o meno, mentre agli impiegati infedeli della banca senese sono già stati sequestrati decine di milioni di euro e altri se ne stanno cercando, anche con un nuovo filone aperto in accordo con la magistratura svizzera.
I guai finanziari della banca senese e dei suoi ex amministratori non finiscono qui, perché rimane il grosso scandalo dell’acquisizione a prezzi esorbitanti dell’Antonveneta, per la quale sono stati pagati 9,3 miliardi allo spagnolo Santander, che l’aveva pagata 6,6 miliardi solo qualche mese prima. A questo acquisto è connessa l’indagine su un’altra operazione finanziaria per un miliardo di euro, denominata FRESH, in cui sono coinvolte JP Morgan e Bank of New York, e su cui la Banca d’Italia aveva espresso riserve, pare aggirate nascondendole alcuni fatti.
Tutto si può dire della Mps della vecchia gestione, tranne che non avesse ampie frequentazioni internazionali, anche se i dubbi su come venissero utilizzate sono ancor più ampi. Né si può negare l’estrema abilità di quella che è ormai conosciuta come la “banda del 5%”, visto che è riuscita a operare così a lungo in barba a ogni controllo, interno ed esterno. Compresi i controlli del Pd, di solito molto stringenti sui propri affiliati che, come noto, devono dare al partito una parte dei compensi relativi alle cariche cui il partito li ha designati.