Giovedì la Procura di Parma ha chiesto di azzerare il consiglio di amministrazione di Parmalat e la nomina di un commissaro per i prossimi mesi. La decisione è legata all’operazione con cui Parmalat ha comprato Lactalis american group (LAG) dal proprio principale azionista Lactalis per circa 900 milioni di dollari. L’operazione, che risale alla primavera 2012, era parsa particolarmente “cara” per Parmalat, non tanto per la cifra in senso assoluto quanto per i multipli generosi che erano stati riconosciuti al venditore, Lactalis, oltre che per le modeste sinergie che la società italiana avrebbe potuto estrarre.
L’acquisizione era apparsa un modo indiretto per consentire al gruppo francese, primo azionista di Parmalat dopo un’opa con l’83% delle azioni, di impossessarsi della cassa della società, più di un miliardo e mezzo di euro alla fine del 2011, evitando la distribuzione di un maxi-dividendo che non era consentita dallo statuto. Sulla vicenda si intrecciano più piani ed elementi che occorre distinguere per evitare di fare confusione. C’è la vicenda “industriale” del gruppo Parmalat, poi c’è la correttezza dell’azionista Lactalis nei confronti del mercato, poi c’è la questione giudiziaria.
La vicenda industriale è finita, malissimo, quando Lactalis è diventato il principale azionista del gruppo italiano. Fino a quel momento Parmalat era una public company, senza azionista di riferimento, con a disposizione un miliardo e mezzo di euro per attuare una strategia di crescita attraverso acquisizioni. La società era al riparo dalle mire dei compratori sia per le vicende giudiziarie legate al fallimento dell’era Tanzi, sia per uno statuto che escludeva la possibilità di distribuzioni di maxi-dividendi; c’era poi una sorta di pudore e di protezione non formale legata alle perdite miliardarie che i risparmiatori, soprattutto italiani, avevano subito.
Con l’entrata in scena di Lactalis Parmalat ha perso la propria autonomia strategica per diventare una controllata, specializzata geograficamente o per prodotti, di un’altra società e quindi organica a un’altra strategia industriale. Il peccato mortale del sistema Italia è stato quello di lasciare una società attiva in un settore considerato tipico del made in Italy con una marea di cassa senza un assetto stabile per molti anni. A questa si è aggiunta la mancanza di volontà del governo dell’epoca, (Berlusconi presidente del Consiglio) di fermare un’operazione che era chiaramente contraria agli interessi del sistema Paese e che certo non sarebbe stata neanche immaginabile a parti invertite.
La seconda questione è quella della correttezza nei confronti del mercato e degli azionisti di minoranza, al di là dei risvolti giudiziari. Le acquisizioni, anche di portata eccezionale, rientrano tra i poteri del cda e se esistono norme a tutela degli azionisti di minoranza in caso di operazioni con parti correlate è chiaro che la determinazione del giusto prezzo non è una scienza esatta, così come non è una scienza esatta la finanza o l’economia. La storia finanziaria è piena di acquisizioni considerate care che poi si sono dimostrate convenientissime e viceversa. Che l’acquisizione di LAG sia stata un modo indiretto per appropriarsi della cassa è una tesi difficile da contestare, che il prezzo sia stato generoso anche, e dimostrare in modo incontrovertibile il contrario è molto difficile. I rischi di rimanere azionisti di Parmalat dopo la conclusione dell’opa da parte di Lactalis, a 2,6 euro, erano noti e oggi Lactalis può sostenere di aver esercitato le proprie prerogative industriali.
Quello che sta accadendo ora è la conseguenza, quasi inevitabile, di eventi inziati e conclusi molti mesi fa e oggi la possibiltà di riportare indietro le lancette dell’orologio appare remotissima e in ogni caso estremamente complicata e difficile anche dal punto di vista della certezza del contesto “normativo” e “regolamentare” in Italia come requisito necessario per attrarre investimenti esteri e dei rapporti con i partner europei. Probabilmente gli spunti più interessanti riguardano altre vicende in corso in queste settimane e mesi in Italia, più precisamente quelle nei dintorni di Finmeccanica e Eni. I fatti di Parmalat sembrano suggerire che non tutti gli azionisti sono equivalenti per gli interessi del “sistema Italia”.