Il giorno in cui è stata firmata una storica joint venture con BMW, Fiat ha festeggiato l’evento con un rotondo -4,4%, doppiando la già pessima performance del mercato italiano e facendo segnare i minimi degli ultimi tre anni. L’annuncio di un’alleanza industriale era atteso dalla comunità finanziaria da mesi e rientrava perfettamente nelle strategie di Marchionne, che aveva più volte evidenziato l’esigenza di condividere con altre case i costi di sviluppo dei nuovi modelli. Se questa notizia fosse stata data alla vigilia della scorsa estate il titolo avrebbe probabilmente fatto segnare i nuovi massimi e sui giornali sarebbero stati versati fiumi di inchiostro sulla straordinaria storia di Fiat capace di risorgere dalle proprie ceneri e in grado di comunicare l’ennesima notizia positiva.
Dopo essere passata da 6 euro per azione a 24 in due anni, Fiat negli ultimi dodici mesi ha lasciato sul mercato più della metà della propria capitalizzazione senza che venisse comunicato alcun profit warning o che venissero rivisti i target del piano industriale. Per capire le ragioni di questa débacle, culminata nell’annuncio di cassa integrazione per la maggior parte degli stabilimenti italiani, occorre lasciare da parte per un momento l’analisi sulla singola società e cercare di capire cosa abbia mutato in modo così spiccato le attese degli investitori.
Partiamo dalla fine: dagli attuali prezzi azionari di moltissimi titoli emerge che il mercato ha smesso da tempo di scontare una normale fase recessiva. In questo momento il mercato è nella più totale incertezza sullo scenario economico-finanziario di breve-medio termine e sconta, con una consistente probabilità, una recessione dai toni drammatici. Per questo le stime di ricavi e utili futuri sono ritenute del tutto inaffidabili e, come si può facilmente immaginare, dati questi presupposti non rimane che vendere le azioni a qualsiasi livello. I sinistri scricchiolii che si erano cominciati a sentire alla fine della primavera 2007 hanno prodotto il fallimento di primari istituti finanziari, svalutazioni “monstre” del portafoglio crediti di molte banche europee e infine una debolezza estrema delle vendite retail. A ciò si è aggiunta una corsa sfrenata del petrolio che insieme al rialzo dei tassi ha massacrato il potere di acquisto dei consumatori.
Tutto questo ha prodotto in giugno un calo a doppia cifra delle vendite di auto in Europa. La storia di Fiat degli ultimi mesi si deve leggere all’interno di questo contesto. Tanto per dare un’idea, dai credit default swap di General Motors emerge che il mercato sta scontando il fallimento del colosso americano con una probabilità di 3 su 4 nei prossimi 5 anni. La pessima performance del titolo non cancella lo straordinario turnaround di cui Fiat è stata capace e il recente accordo con BMW è un’ulteriore dimostrazione della vitalità del gruppo e della rivoluzione avvenuta negli ultimi anni.
Entrando nel dettaglio, l’accordo dovrebbe prevedere l’impegno di Fiat a condividere la piattaforma di Punto e Mito che BMW potrebbe usare per la Mini e la fornitura da parte di Fiat dei motori diesel di piccola cilindrata, su cui Fiat ha un’indiscussa competenza tecnologica. Meno chiaro è invece il contributo che BMW darà a Fiat. Il comunicato parla di collaborazione per lo sbarco di Alfa Romeo negli Usa. Uno sbarco di cui si parla da più di 5 anni e mai avvenuto. Ogni tentativo di Fiat di entrare nel mercato “premium” europeo si è rivelato un fallimento e nel caso della Thesis è stato così colossale da mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza del gruppo. Fiat Auto, in un modo o nell’altro, ha bisogno di fare un salto dimensionale e tecnologico e di trovare un partner di lungo periodo disposto a condividerne lo sviluppo. L’accordo appena firmato va in questo senso ma al momento è del tutto embrionale. Non sarà certo la firma di un memorandum a risolvere i problemi strutturali di Fiat Auto, rimasta piccola in un mondo di giganti e per questo destinata a essere un operatore marginale. Mentre un’economia forte ne mascherava bene i limiti, una fase recessiva rischia di mettere a nudo il delicato equilibrio economico di Fiat e forse darà l’occasione a Marchionne per liberarsi finalmente dell’onere auto (tanta competizione e pochi margini). Come è ovvio BMW non è intenzionata a favorire la nascita di un concorrente serio e pericoloso nel “suo” segmento E. Molti hanno scritto senza pudore di un sostanziale regalone dei tedeschi agli italiani; noi, a bassa voce e con molto pudore, diciamo che BMW è anni che cerca un quarto marchio e che Fiat non ha la forza di sostenere Alfa né in Europa né in America.