Vince Nichi Vendola, il governatore in carica ha prevalso anche questa volta. Risultato atteso, annunciato da giorni. Ne erano a conoscenza anche i capi del Pd, calati nel tacco d’Italia a sostenere il loro candidato Francesco Boccia, lo stesso che cinque anni fa aveva ceduto il passo nelle medesime condizioni: sconfitto sempre alle primarie (allora il partito si chiamava Ds) e sempre da Nichi Vendola (che allora rappresentava Rifondazione comunista e oggi è portabandiera di Sinistra Ecologia Libertà).
Rispetto a cinque anni fa, dunque, cambiano i nomi dei partiti ma non le facce e neppure la sostanza: vince il candidato lontano dall’apparato, l’outsider, quello che sa comunicare meglio, stavolta favorito dal fatto di aver governato cinque anni e quindi dall’aver stretto rapporti e consolidato la propria fama. Con Boccia il grande sconfitto si chiama Massimo D’Alema, il quale ha lottato fino all’ultimo per impedire il bis di Vendola, consapevole che i commentatori avrebbero interpretato le primarie come un referendum pro o contro di lui.
Onore a D’Alema per essersi speso come un deputato qualunque, e non come un ex presidente del Consiglio che ha sfiorato la nomina ad Alto rappresentante per la politica estera dell’Ue, per una competizione elettorale di scarso rango. E assieme a D’Alema, viene bocciata anche la strategia dell’alleanza con l’Udc alle regionali. Casini infatti aveva detto sì all’accordo se avesse vinto il giovane candidato riformista, non l’ex delfino di Fausto Bertinotti. Così non è stato. I centristi dunque non voteranno centrosinistra a marzo, che – ricordiamo – è l’appuntamento che conta davvero.
Il successo di Vendola potrebbe perciò trasformarsi in una vittoria di Pirro. Il governatore prevale nella competizione interna alla sinistra, ma potrebbe perdere colpi in quella con il centrodestra, sempre a patto che il Pdl scelga un nome «vero» da contrapporgli e non (come si vocifera) un giornalista indubbiamente bravo ma digiuno di politica come il mezzobusto Rai Attilio Romita.
Viceversa, è paradossale che Boccia – accreditato di maggiori chances nel confronto con il Pdl perché avrebbe potuto contare sul supporto esterno dell’Udc – non riesca a scaldare i cuori dei suoi stessi elettori. È paradossale che sia stato riproposto lo stesso scenario di cinque anni fa, cioè le primarie Boccia-Vendola, come se nel frattempo in Regione Puglia non ci fossero stati cinque anni di amministrazione del centrosinistra. È paradossale la vittoria del candidato che, almeno sulla carta, avrà le maggiori difficoltà a fronteggiare il centrodestra.
Soprattutto, le primarie di ieri in Puglia hanno evidenziato la profonda crisi da cui la sinistra italiana non riesce a sollevarsi. Partito «identitario» o riformista? Partito movimentista a rischio di populismo, incarnato dal governatore con l’orecchino, o struttura organizzativa dove prevale il tatticismo delle alleanze? Partito dei personaggi che bucano lo schermo e portano gli elettori alle primarie, oppure partito degli apparati che sanno mobilitare le truppe soltanto per le grandi occasioni?
È a questi interrogativi che Pierluigi Bersani è chiamato a rispondere. Per non dare ragione a chi come Francesco Rutelli, a urne delle primarie ancora aperte, ha dichiarato: «Penso a quale scusa avrei dovuto inventare per evitare un commento se fossi stato ancora nel Pd. Quindi ora posso dichiarare tutto il mio sollievo per aver lasciato quel partito».