Salita di nuovo agli onori della cronaca per vicende che poco hanno a che fare con le prospettive aziendali, Telecom Italia ha occupato le pagine dei giornali italiani per una settimana, iniziata con le dichiarazioni esplosive rilasciate da Tavaroli a La Repubblica e finita con la richiesta di un nuovo piano industriale avanzata da Fossati, azionista di Telecom con il 5% tramite la finanziaria Findim.
L’intervista all’ex capo della sicurezza di Telecom ha mostrato ancora una volta come gli aspetti economici, finanziari e aziendali dell’ex incumbent siano solo una parte, forse non principale, dei problemi che si devono affrontare quando si ha a che fare con il principale operatore di telecomunicazioni italiano. Le ultime rivelazioni sui punti più oscuri della scalata della razza padana e sul ruolo del governo dell’epoca, così come sulle responsabilità dell’ex presidente di Telecom negli abusi e nell’attività del settore sicurezza del gruppo, trascendono le possibilità di comprensione dei comuni mortali e non servono a fare luce sui destini prossimi venturi di quella che è ancora una delle principali società del Paese.
Un’indicazione emerge però chiaramente dal dibattito degli ultimi giorni e mostra come il gruppo sia talmente strategico che difficilmente una mera analisi dei costi e benefici delle varie opzioni strategiche potrà essere l’unica determinante del futuro del gruppo. Innanzitutto occorre ricordare che l’attuale assetto proprietario del gruppo è transitorio e non può essere considerato in nessun modo definitivo o di lungo periodo.
I principali azionisti di Telecom sono un pool di banche italiane e la spagnola Telefonica. Le prime non possono essere considerate per definizione azioniste di lungo periodo di un gruppo telefonico, la seconda ha pagato la propria quota più del doppio degli attuali prezzi di mercato senza, per il momento, poter beneficiare di alcuna sinergia.
Dal punto di vista economico anche per il socio privato Fossati (figlio del fondatore della Star) l’investimento in Telecom si sta rivelando un pessimo affare.
Questa situazione fluida, insieme alla crisi che ha colpito i mercati, ha anticipato l’esigenza di affrontare alcuni nodi che fino al qualche mese fa sembravano poter essere rimandati di uno-due anni. A tutto questo si aggiunge l’ormai storico dilemma sul ruolo di Telecom Italia nel panorama europeo e internazionale, dato che il processo di consolidamento in corso da anni non potrà non riguardare anche il leader di mercato italiano.
La richiesta di un nuovo piano industriale fatta da Fossati non dovrebbe però essere destinata a essere soddisfatta rapidamente. Il mercato deluso dalle limitate novità introdotte dal nuovo ad Bernabè, il cui piano non contemplava alcun cambiamento significativo, ha nel corso degli ultimi mesi fortemente penalizzato il titolo dopo la debacle scatenata dalle preoccupazioni sulla solvibilità del gruppo espresse da alcuni sindacalisti.
In questo momento sull’ad sono concentrate pressioni e richieste a cui non può dare una risposta.
Un nuovo piano industriale che aumenti gli utili futuri e risollevi le sorti del titolo può essere fatto solo se si verificano tre condizioni contemporaneamente: un accordo sugli esuberi coi sindacati, armonia e comunione di intenti tra gli azionisti, un accordo politico col governo e con l’authority per le comunicazioni.
Sul primo punto al momento non è lecito essere troppo fiduciosi ma, dopo l’esperienza Alitalia, un accordo potrà difficilmente essere evitato. Gli azionisti invece sono divisi: Telefonica vorrebbe prendere il controllo il prima possibile e imprimere una svolta pagando, si presume, il minor prezzo possibile. Le banche devono tutelare l’investimento fatto senza incorrere in perdite e hanno tutta l’intenzione di mantenere finanziariamente solido il gruppo, limitando investimenti dai quanto mai incerti ritorni. Gli investimenti sulla rete senza un quadro regolatorio e un sistema di remunerazione adeguato rischiano infatti di essere un onere non sopportabile da Telecom. Infine, il Governo farà di tutto per evitare che la società vada senza colpo ferire in mano straniere ed è chiaramente interessato ad avere una società in grado di fare gli investimenti necessari per portare la rete ai livelli degli altri Paesi europei.
In mezzo a tutto questo sta un manager nominato sotto la moral suasion del precedente governo e probabilmente estraneo all’attuale esecutivo.
Lo scenario perfetto potrebbe essere a questo punto una separazione della rete in una nuova società, che, grazie a ricavi resi stabili da un sistema tariffario concordato col Governo, potrebbe sopportare una grande quantità di debito e dare avvio a un importante programma di ammodernamento della rete.
La parte rimanente sarebbe perfetta per una fusione con Telefonica che a questo punto non susciterebbe più alcun timore. In alternativa a Telefonica (o magari insieme) sarebbe altrettanto vincente una fusione con Mediaset che creerebbe uno dei più moderni player europei nel settore Telecom-media ormai sempre più inseparabili e risolverebbe per sempre il problema del conflitto di interessi del premier (fortemente diluito nel nuovo gruppo).
Se la crisi finanziaria non porterà via troppo tempo ed energie all’esecutivo, in autunno la vicenda Telecom potrebbe entrare nell’agenda del Governo, anche se non c’è da scommettere che la controparte sarà ancora l’attuale management.