Complimenti a Mario Draghi, davvero complimenti. Come vi avevo predetto, il “miracolo” non si è compiuto. E non poteva che essere così: la Bce non può fare la guerra alla Bundesbank, visto che non si è mai visto un controllato attaccare il controllante e la conferenza stampa di ieri ne è stata l’impietosa, quasi umiliante, conferma.
Per quanto si possa ritenere suicida e ottuso l’atteggiamento ultra-rigorista dei tedeschi, la Buba dalla sua parte ha i Trattati: forzarli, significa infrangerli. E l’Eurotower non può, visto che non ha dietro di sé la forza politica per ottenerne la deroga o la modifica, nonostante i 300 vertici totalmente inutili tenutisi negli ultimi tre anni.
Le parole di Draghi, al termine del direttivo della Bce, sono state semplicemente sconfortanti. Eccone un sunto: «Le mie parole lanciate la scorsa settimana a Londra sono state fraintese dai mercati»; «Nella sua forma attuale il fondo di salvataggio Esm che l’Europa sta per lanciare non è una controparte in grado di accedere ai finanziamenti della Bce»; «Perché la Banca centrale europea possa intervenire sul mercato dei titoli di Stato per ridurre gli spread serve una formale richiesta di aiuto dei governi interessati, che questi rispettino gli impegni e che il fondo Efsf/Esm svolga il suo ruolo»; «Fra le altre opzioni che la Bce sta studiando, accanto agli interventi sui mercati dei titoli di Stato, c’è la possibilità di riprendere i maxi-prestiti alle banche Ltro e la revisione delle garanzie chieste alle banche in cambio di liquidità»; «Fondi salva Stati Esm ed Efsf sono condizioni necessari ma non sufficienti. La Bce può intraprendere operazioni di mercato dirette. Il direttivo può considerare di intraprendere operazioni non standard e nelle prossime settimane queste verranno messe a punto».
Come poteva reagire il mercato a parole simili? Sessanta punti di spread presi rispetto ai livelli pre-conferenza stampa, rendimento del decennale sopra il 6% e Borsa che da positiva crollava a oltre -4%, con una raffica di sospensioni a Piazza Affari tra i titoli bancari e quelli del comparto utilities. Il rendimento dei Bonos decennali è tornato al 7%, nonostante l’entusiasmo degno di miglior causa degli analisti per l’asta tenuta in mattinata dal Tesoro iberico. La Spagna è infatti sì riuscita a effettuare una nuova emissione di titoli di Stato, Bonos a 2, 4 e 10 anni sui quali ha raccolto più del previsto, 3,132 miliardi di euro, ma ha dovuto sobbarcarsi nuovamente aumenti dei rendimenti richiesti, soprattutto sulle scadenze a medio termine, 2 e 4 anni, sintomo che ci sono timori per l’accesso a breve della Spagna ai mercati di finanziamento.
Tutto come previsto, insomma. Draghi aveva bisogno di evitare che lo scorso fine settimana la Spagna cedesse alla realtà e chiedesse un salvataggio in stile greco, ovvero sotto egida e controllo della troika e quindi ha venduto ai mercati aria fritta sapendo che nell’arco di meno di una settimana il bluff sarebbe stato svelato. Ora, parlare di fraintendimento dei mercati riguardo quanto detto a Londra – ovvero che la Bce farà qualsiasi cosa per salvare l’euro – ricorda quei politici che il giorno successivo alle dichiarazioni, si lamentano dicendo che i giornalisti hanno travisato le loro parole. Patetico. Draghi sapeva benissimo di non aver nessun coniglio nel suo cilindro, ha sperato che la due giorni di vertici bilaterali che ha coinvolto metà dei leader europei e l’appeal filo-euro di Barack Obama e Tim Geithner facessero crollare la linea Maginot della Bundesbank, ma era una pia illusione: anzi, un moral hazard di quelli che lo stesso presidente della Bce denuncia come atteggiamento irresponsabile.
Esagererò, ma Mario Draghi dovrebbe dimettersi, immediatamente. Non si può, non è accettabile arrivare a evocare misure non standard sui mercati e pochi istanti dopo dire che saranno approntate nell’arco delle prossime settimane: i mercati, se vogliono, un Paese lo affondano in due giorni e Mario Draghi, ex Goldman Sachs ed ex governatore di Bankitalia, questo lo sa. O, quantomeno, dovrebbe saperlo.
Che fare ora? C’è un’unica opzione aperta, nel qual caso Draghi non dovrebbe dimettersi ma essere premiato con il Nobel per l’Economia: far aumentare a dismisura le posizione short della speculazione e poi annunciare, di colpo e nell’arco di due, tre giorni, una nuova asta di liquidità, costringendo in corner i ribassisti e, contemporaneamente, calmierando gli spread, visto che se anche i gestori di portafogli saranno tentati di scaricare le detenzioni di debito periferico, l’effetto psicologico di un nuovo intervento delle banche dovrebbe garantire l’accorciamento della curva. Dubito che abbia in mano una carta simile, però.
La Germania ha vinto, occorre ammetterlo. Tanto più che, a fronte delle parole della Merkel e di Schauble, anche il partito socialdemocratico tedesco Spd, all’opposizione, si è detto contrario all’acquisto di Bond di paesi dell’eurozona in difficoltà da parte della Bce. Lo ha dichiarato a chiare lettere il capogruppo Spd al Bundestag, Frank-Walter Steinmeier, possibile prossimo candidato cancelliere, per il quale con la ripresa degli acquisti di Bond da parte dell’Eurotower si guadagnerebbe al massimo un po’ di tempo e «si proseguirebbe senza freni verso l’Unione delle garanzie sul debito, senza controllo democratico e senza chiare contropartite per i Paesi deboli dell’eurozona».
Non c’entra, quindi, la politica delle destre europee come più volte ha denunciato Bersani: i tedeschi ragionano e agiscono in base a categorie che travalicano l’appartenenza politica, per loro il rigore non è bianco o rosso, è l’unica legge e regola. Può un’Unione simile funzionare? Vale ancora la pena stare insieme, quando le necessità sono divergenti e l’inconciliabilità pressoché totale? Forse occorrerebbe cominciare a ragionare davvero di euro a due velocità, l’unico modo per mantenere in vita – ancorché sotto forma diversa da quella attuale – la moneta unica e l’Ue stessa.
La Spagna, a questo punto, potrebbe entro domenica richiedere un bail-out sovrano a Bce, Ue e Fmi: i costi di finanziamento sono infatti insostenibili e il fronte di una risposta di prospettiva dell’Eurotower completamente inesistente. Restano però altri interrogativi: chi garantirà, subito, almeno 30 miliardi (ne servirebbero, entro oggi, almeno il doppio) al Frob iberico per ricapitalizzare le banche? L’Esm che ancora non esiste e che deve attendere la sentenza della Corte costituzionale tedesca o l’Efsf con in cassa non più di 20 miliardi eligibili e, oltretutto, generando subordinazione e creando nuovo stock di debito per Madrid? Stavolta potrebbe davvero non esserci una via d’uscita.
Spero di sbagliarmi e che Draghi mi zittisca con i fatti, ne sarei felice e sono pronto a cospargermi il capo di cenere. Come lo ero quando ho scritto che il miracolo annunciato a Londra, con ogni probabilità, si sarebbe rivelato un bluff. Buy the rumors, sell the news. Come sempre.