C’è un elemento che accomuna, negativamente, dittature e democrazie, regimi militari e istituzioni civili, antiche monarchie e moderni assetti costituzionali: è la sempre presente tentazione dello Stato di gestire la ricchezza altrui, di assumersi competenze improprie e di garantirsi privilegi. Dall’Antica Grecia all’Impero romano, dall’Egitto dei Faraoni alle monarchie medioevali, la politica fiscale è stata sempre al centro della politica, generando molto spesso protesta e ribellione.
La stele di Rosetta, custodita al British Museum di Londra, è ricordata come la chiave di volta che ha permesso di decifrare i geroglifici dell’Antico Egitto. È una lastra di basalto nero incisa nel 200 a.C. con una iscrizione in egiziano in alto, in demotico (la lingua dell’Alto Egitto) al centro e in greco in basso. Era scritta in tre lingue per essere collocata all’entrata dei templi ed era essenzialmente un documento che attestava il primo condono fiscale della storia. In un “proclama di pace” dopo dieci anni di rivolte e guerra civile il re Tolomeo V prometteva l’amnistia sui debiti fiscali, la restituzione delle terre confiscate, l’esenzione dalle tasse per i nuovi raccolti.
È solo un esempio di come il sistema fiscale sia stato, fin dall’inizio della storia delle istituzioni, un protagonista del complesso rapporto tra lo Stato e i cittadini. Fino a diventare il punto di contrasto più grave alla base delle rivolte e delle rivoluzioni.
E’ sotto questo profilo affascinante una storia del mondo raccontata sotto la prospettiva dei sistemi fiscali. “For Good and Evil – L’influsso della tassazione nella storia dell’umanità” (ed. Liberilibri, pagg. 600) è il libro che Charles Adams, avvocato e storico americano, ha scritto seguendo il filo logico tutto particolare delle tasse e di tutto quello che vive attorno e grazie ad esse.
E così nella nota introduttiva l’editore, Aldo Canovari (fondatore e animatore di Liberilibri, la coraggiosa casa editrice di Macerata), cita Giovenale (“Tutto quello che di bello e consistente c’è in mare, ovunque nuoti, appartiene al fisco) e afferma: “Nulla di nuovo quindi: al potere assoluto dell’Imperatore-despota si è sostituito il potere assoluto del Regime democratico, in cui lo Stato-provvidenza è Stato-padrone-predone con responsabilità e compiti globali a cui corrispondono poteri e disponibilità globali”.
Il punto di fondo sta proprio nel perverso rapporto tra imposta e spesa pubblica, in un concetto di sovranità dello Stato che si estende sino al pretendere di poter violare uno dei principi fondamentali della libertà dei cittadini: la proprietà privata.
Charles Adams non è comunque un talebano dell’anarchia antistatale. Il problema che pone in rilievo non sono le tasse in quanto tali, ma l’eccesso di imposizione che può arrivare a motivare l’evasione fiscale e la rivolta contro il potere. E peraltro una imposizione fiscale eccessiva scoraggia l’attività economica, frena l’iniziativa imprenditoriale, rende in fondo più povera la società. Quello del fisco è quindi uno strumento di potere che va usato con estrema prudenza.
Una lezione quanto mai attuale in una realtà come quella italiana dove le necessarie misure per la crescita dell’economia dovrebbero far leva su di un punto fondamentale, una riduzione del peso del fisco resa possibile da un drastico, vigoroso e soprattutto efficace, taglio della spesa pubblica.