Miracoli delle virgole. Basta uno «zero virgola» qualcosa per eccitare Matteo Renzi. Previsioni del Pil, della disoccupazione, delle esportazioni, dei consumi. I dati macroeconomici che mostrano uno «zero virgola» scatenano la gioia incontenibile del premier democratico: «Anno felix», «possiamo correre», «l’Italia è un Paese portatore di speranze». Un tempo erano le virgole dei sondaggi a destare gli entusiasmi dei politici, ora tocca agli indicatori economici. Oppure alle promozioni della legge di stabilità, che pare supererà indenne le forche caudine della Commissione europea, senza necessità di correzioni. Se poi quello «zero virgola» ci colloca all’ultimo posto tra i 28 Paesi Ue per tasso di crescita (sì, ultimo, dietro anche a Grecia e Cipro), questo è un dettaglio su cui la macchina comunicativa di Matteo Renzi sorvola allegramente.
Dopo la sbornia post-quirinalizia si torna a parlare di temi che toccano la vita delle persone: lavoro, ripresa, consumi. Il premier cavalca le previsioni striminzite che pure sono precedute da un segno positivo. Sull’onda del successo di una settimana fa con cui ha messo nel sacco Berlusconi e il Nazareno, Renzi sfodera grande dinamismo. Attrae parlamentari. Sbandiera previsioni. Esalta l’Expo. Stringe sull’anticorruzione. Sbeffeggia alleati e avversari. Insomma, a un anno dalla conquista di Palazzo Chigi il presidente del Consiglio si mostra saldo in sella, padrone della situazione, avendo regolato i conti con la minoranza interna e con l’opposizione parlamentare, ed enfatizzando quei barlumi di ripresa ancora infinitesimali ma finalmente positivi.
La strategia renziana ora seguirà una precisa direttrice: cavalcare l’onda del successo e avviare un tour nelle province d’Italia che di fatto apre e pilota la campagna elettorale per le amministrative di primavera: in maggio si vota in sette regioni tra cui Toscana e Puglia, oltre che in Veneto e Campania, le uniche (oltre alla Lombardia) ancora governate dal centrodestra. Renzi deve riguadagnare quel consenso che si era appannato nelle ultime settimane e lo farà con gli strumenti che sa meglio usare: non azioni efficaci ma promesse e propaganda. Del resto, se davvero l’economia riparte e la politica s’inchina davanti al premier pigliatutto, è nell’ordine delle cose sfruttare la congiuntura favorevole.
Prendiamo per buoni le percentuali macroeconomiche. Ma sul fronte politico è tutto così normalizzato? La sinistra del Pd ha già rialzato la testa. Credeva di aver messo nell’angolo Renzi con la partita del Quirinale: Mattarella è un nome suggerito da Bersani che ha mandato nel caos il centrodestra. Viceversa Renzi non tollera di avere il fiato della minoranza sul collo e ha replicato imbarcando nel Pd le truppe di una Scelta civica allo sbando.
Qui non si tratta di allargare la maggioranza (i nuovi parlamentari Pd già sostenevano il governo ed esprimevano il ministro Giannini), ma di riassestare il partito alleggerendo la pressione dei bersaniani sui temi come l’applicazione del Jobs Act, la riforma fiscale e costituzionale. L’immagine di un Pd «diluito», annacquato, è efficace. La «pax mattarelliana» è già traballante.
Restano poi le incognite sul dopo-Nazareno. Lo strappo con Berlusconi è stato liquidato con sufficienza: «Si sono rimangiati il Patto? Buon appetito». Ieri il Cavaliere ha tuonato che «Renzi è pericoloso per la democrazia» annunciando che l’Italicum avrà alla Camera i voti contrari del centrodestra. Renzi potrebbe blindare il provvedimento con la fiducia, ma sarebbe una clamorosa inversione di rotta rispetto alla linea seguita finora di riforme condivise. E poi, una legge elettorale votata da una certa maggioranza al Senato (con Forza Italia) e da una maggioranza diversa alla Camera (senza gli azzurri) è una vera porcheria parlamentare, altro che «porcellum». E se veramente, come dice Renzi, il governo ha ugualmente i numeri per andare avanti, rimane comunque il rischio dell’ostruzionismo. Una guerriglia alle Camere che vedrebbe Forza Italia a fianco di Lega e 5 Stelle.