La campagna elettorale è ormai aperta e tutto quello che accadrà nel terreno della politica di qui al 30 marzo può essere letto nella chiave dell’inevitabile contrapposizione in vista delle urne. Lo scontro tra bande di delinquenti extracomunitari alla periferia di Milano, un episodio di criminalità comune in nulla paragonabile alle rivolte delle banlieues parigine, è l’occasione per mettere sotto accusa le politiche di sicurezza del governo e della Lega.
Sempre a Milano, l’arresto di un consigliere comunale pidiellino con denaro tangentizio in mano fa gridare a una nuova Mani pulite contro gli amministratori comunali, provinciali e regionali, tutti del centrodestra.
Anche il caso Bertolaso può essere letto in questa ottica. Nell’inchiesta sugli appalti delle emergenze, la posizione del sottosegretario, nonostante lo stillicidio delle intercettazioni, sembra ancora marginale: l’addebito più grave appare quello di aver frequentato un centro massaggi avendo pagato l’abbonamento annuale per l’ingresso e le prestazioni della fisioterapista specializzata nel curare la cervicale.
Ma Di Pietro (naturalmente) e anche Bersani (e questo era meno prevedibile) chiedono le dimissioni del sottosegretario in base ai sospetti del gossip.
In campagna elettorale tutto può essere usato contro l’avversario. Eppure nell’inchiesta sulla protezione civile emergono alcuni aspetti che non possono essere ridotti alle schermaglie pre-regionali. Bertolaso è un personaggio dal profilo «bipartisan». Divenne famoso quando organizzò il Giubileo del 2000: incarico ricevuto dall’allora sindaco Rutelli. Un governo di centrosinistra lo volle a capo del servizio civile volontario.
Berlusconi lo portò alla Protezione civile e Prodi lo confermò. Un civil servant, come direbbero gli anglosassoni, cioè un funzionario dello stato slegato da cordate partitiche e senza il mastice del potere che lo tiene incollato alla poltrona.
Gente così non sempre è benvoluta nelle stanze dei bottoni perché poco ricattabile. In più, Bertolaso ha attirato potere sempre maggiore: dalla regìa dei grandi eventi (Giubileo, G8 alla Maddalena e all’Aquila, funerali di Giovanni Paolo II, solo per citarne alcuni) alla gestione delle emergenze vere e proprie (terremoti, rifiuti, tsunami, incendi). La struttura della Protezione civile ha assunto dimensioni enormi per numero di dipendenti e bilancio gestito; in più è di fatto sottratta a forme di controllo ordinario perché costretta ad agire in situazioni eccezionali. Per il G8, per fare un esempio, moltissimi lavori sono stati assegnati in deroga alle regole europee in materia di appalti. Operazioni discrezionali ora all’esame della magistratura.
Tanto potere e poco controllo non piace né a una parte del governo né a gran parte dell’opposizione. Piace però a Silvio Berlusconi, che ha in qualche modo trasferito su Bertolaso la sua filosofia del «fare» senza troppi vincoli. Nelle ultime settimane si sono moltiplicate le voci che vorrebbero Bertolaso anche sul ponte di comando dell’Expo 2015. E si è aggiunta la volontà del governo di trasformare la struttura in società per azioni a capitale pubblico ma di diritto privato. Con la conseguenza di moltiplicare i suoi poteri (appalti, direzione lavori, vigilanza, infrastrutture, eccetera) sia per le emergenze sia per le grandi opere, sottraendosi alla magistratura amministrativa e contabile.
Questi fattori potrebbero aver determinato l’accelerazione della procura di Firenze che ha ordinato gli arresti dei collaboratori di Bertolaso e dei loro amici imprenditori. Ora è difficile che Bersani ottenga le dimissioni di Bertolaso, tuttavia potrebbe costringere il governo a una marcia indietro anche parziale sul progetto della Spa. E per l’opposizione sarebbe un buon successo preelettorale.