Giusto trent’anni fa la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia era giunta a uno dei suoi punti di svolta. Dopo le dure contestazioni del fatidico Sessantotto, dal 1969 fino al 1979 – nel 1978 la prestigiosa kermesse non aveva avuto nemmeno luogo – si erano infatti svolte ben dieci edizioni non competitive, vale a dire senza l’assegnazione di alcun tipo di premio. Dieci anni senza Leoni d’oro.
A partire dal 1980, sotto la guida del nuovo direttore Carlo Lizzani (nominato l’anno precedente), sono invece ripristinati tutti i diversi riconoscimenti, compreso quello principale, che quell’anno viene assegnato – ex aequo con “Atlantic City” (Atlantic City U.S.A., 1980) di Louis Malle – a “Gloria” (Una notte d’estate – Gloria, 1980) di John Cassavetes. L’attore, sceneggiatore e regista newyorchese di origini greche, autentico faro del cinema indipendente americano, con questa pellicola centra – da dietro la macchina da presa, all’età di 51 anni – il suo maggior successo commerciale.
Il coronamento di una carriera come cineasta iniziata in maniera folgorante, nei primissimi anni Sessanta, con “Ombre” (Shadows, 1961), opera tutta animata da interpretazioni improvvisate e libere da parte di attori non professionisti che era stata presentata in anteprima proprio alla Mostra di Venezia nel settembre 1960. Come afferma anche un entusiasta Martin Scorsese nel suo documentario “Viaggio nel cinema americano” (A Personal Journey with Martin Scorsese Through American Movies, 1995) «con Cassavetes nasceva a New York una nuova scuola di produzione cinematografica da guerriglia.
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I suoi film venivano realizzati sul piano della fiducia. John era intrepido, un autentico ribelle che realizzava uno psicodramma dopo l’altro con la complicità di una stretta cerchia di attori amici. Continuava a divertirsi mentre realizzava i film, alla ricerca di qualche verità. Forse addirittura di una rivelazione». Protagonista della pellicola omonima è la grintosa Gloria Swenson (interpretata dalla moglie di Cassavetes, Gena Rowlands), che nel proprio nome nasconde anche un chiaro richiamo alla celebre diva hollywoodiana del cinema muto, al centro anche di “Viale del tramonto” (Sunset Boulevard, 1950, Billy Wilder).
Ex showgirl e amante di un boss della malavita newyorchese, per sua stessa ammissione allergica ai bambini, alla donna accade di doversi prendere cura di Phil, il giovanissimo figlio di una sua vicina portoricana che, sposata ad un contabile della mafia ormai caduto in disgrazia, viene sterminata con il resto della famiglia dagli uomini della medesima banda nella quale Gloria vanta più di una conoscenza. Ha così inizio una febbrile fuga a due – a sua volta omaggiata dal francese Luc Besson per il suo esordio statunitense (“Léon”, 1994) – nella giungla metropolitana di New York scandita da brevi pause, fulminee sparatorie e banali litigi, fino al sorprendente finale.
Il tutto non senza l’emergere, nell’imprevedibile e forzato legame stabilitosi tra Gloria e Phil, di un attaccamento e di un sentimento di affetto non dissimile da quello che unisce una madre al proprio figlio. In una sua intervista John Cassavetes ha affermato che «avere una filosofia significa sapere come amare e sapere a chi offrire questo amore […]. Si vive con la rabbia, l’ostilità, con i problemi, con i pochi soldi. Sì, insomma, delusioni terribili nel corso di una vita. Quindi, quello di cui la gente ha bisogno sono dei principi. Credo che ciò di cui tutti hanno bisogno si riassume in questo modo di dire: “Dove e come io posso amare, posso essere innamorato, così che io possa vivere in pace”.
Ed è per questo motivo che ho bisogno di personaggi per analizzare veramente l’amore, discuterlo, distruggerlo, annientarlo. Ho bisogno che i protagonisti si facciano male l’un l’altro, che facciano tutto questo, in quella guerra, in quella polemica di parole e di immagini che è la vita. Tutto il resto non mi riguarda veramente, può interessare ad altri, ma io lo so, ho un’idea fissa: tutto ciò che mi interessa è l’amore».
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In questa “parodia” al femminile – Gena Rowlands riceverà addirittura una candidatura ai Golden Globes e agli Academy Awards per la migliore attrice protagonista – delle convenzioni del genere thriller e del cinema gangsteristico, l’energica e mobilissima macchina da presa di John Cassavetes non si stanca mai di pedinare i due personaggi al centro della storia, offrendo allo spettatore nuovi, inaspettati e “sinceri” punti di osservazione da cui e con cui guardare le rocambolesche vicende di Gloria e Phil.
D’altronde, come ricordato da un autorevole uomo (sperdutamente amante) di cinema già citato in queste righe, «tutti i film di Cassavetes erano poesie epiche dell’animo umano. Guardandoli ritorna in mente un’osservazione che John Ford fece a un suo collaboratore che durante le riprese di un film si lamentava per il brutto tempo nel deserto. Il ragazzo disse: “Signor Ford, cosa possiamo filmare qua fuori?” E Ford rispose: “Cosa possiamo riprendere? La cosa più interessante ed eccitante di tutto il mondo: un volto umano”». Parola di Martin Scorsese.
(Leonardo Locatelli)