L’Opa Mediaset o l’Opa di Salvini? Qual è la scalata che tiene più banco nei pensieri del Cavaliere: quella sui ripetitori Rai o quella che il leader leghista ha lanciato sui voti di Forza Italia? La manifestazione di sabato a Roma ha mostrato che Salvini punta deciso sull’elettorato azzurro, quello più esasperato, sensibile ai temi dell’immigrazione, delle difficoltà delle imprese, delle ingerenze europee. Di fatto la nuova Lega ha inglobato Fratelli d’Italia e le frange di destra estrema; ora parte (almeno secondo i calcoli di Salvini) l’attacco agli elettori di Berlusconi, che non ne possono più di un partito che passa le giornate a litigare al proprio interno. Dieci anni fa erano gli azzurri a interloquire con le imprese, a manifestare nel profondo Nordest; oggi all’ordine del giorno di Forza Italia ci sono gli scontri con Fitto e poco altro.
I sondaggi registrano la continua ascesa di Salvini, anche se i numeri reali non gli danno del tutto ragione: 30mila persone in piazza del Popolo sono le stesse che il Carroccio dichiarava nei tre giorni dell’ampolla in laguna. Anche il leader leghista rischia di trasformarsi in una meteora ininfluente come stanno diventando i 5 Stelle. Salvini è un leader profondamente diverso da Grillo, ma la scelta dei “vaffa”, gli slogan facili, la superficialità delle proposte (in quale Eldorado esiste una flat tax del 15%?) avvicinano moltissimo i due demagoghi. Della Lega di Bossi è rimasto soltanto il nome: cancellata ogni velleità autonomista, ogni utopia padana. Il partito di Salvini non è federalista ma nazionalista, la città ladrona non è più Roma ma Bruxelles, il Sud nemico non comincia più sotto il Po ma sotto il Mediterraneo, nel pantheon Marine Le Pen ha soppiantato Alberto da Giussano.
La nuova Lega 2.0 è pure radicalmente diversa dalla variante di Tosi, cioè da un partito di buoni amministratori, di forte radicamento territoriale, di stretti rapporti con le forze politiche contigue. Con le liste civiche, che gli valsero l’anatema di Bossi ma la vittoria elettorale, Tosi ha già decimato Forza Italia in Veneto, attirando quei voti moderati (ancora molto numerosi sebbene silenti) che rappresentano il vero zoccolo duro di Berlusconi.
È questo il vero terreno di scontro tra Tosi e Salvini. Due idee diverse di partito. Uno che corre da solo, l’altro che cerca alleanze. Uno che impone un’unica linea per l’intero Paese, l’altro “a geometria variabile” (si sarebbe detto così qualche tempo fa). Uno che conquista spazi in tv, l’altro che preferisce il territorio. Sono modelli incompatibili, e al momento il vincitore è quello di Salvini.
Oggi in via Bellerio verrà esaminato il caso Veneto e non è escluso che la Liga venga commissariata e Tosi (che è il segretario regionale, anzi nazionale visto che lo statuto del partito considera ancora le regioni come nazioni) esautorato. Salvini potrebbe in realtà cercare anche una soluzione più morbida, che consenta al sindaco di Verona di fare la sua lista in appoggio a Zaia ma parallela a quella ufficiale della Lega: ciò faciliterebbe un accordo con Forza Italia e in essa potrebbero confluire anche uomini del Nuovo Centrodestra o del neonato partito di Corrado Passera.
Salvini ha posto ieri a Berlusconi l’ennesimo aut aut: o ci segue o sarà peggio per lui. Ma sarebbe davvero il colmo se la Lega, in uno dei momenti più favorevoli, per dissidi interni e incapacità politica di intessere alleanze, perdesse — parola di Salvini — “il governatore più bravo d’Italia”, cioè Luca Zaia. A proposito: che ne pensa di questo giudizio Roberto Maroni? Forse che, dopo Tosi, il prossimo epurato sarà lui?