Che cosa farà il governo Letta nei prossimi mesi? La domanda è di particolare interesse dopo diverse settimane in cui abbiamo potuto osservare il “modus operandi” della nuova compagine. Qual è la strategia perseguita? Quali gli obiettivi? Diversi elementi sono ormai ben chiari all’opinione pubblica: grande prudenza, scelte molto ponderate anche a costo di sfiorare il sospetto d’indecisione, nessun passo più lungo della gamba, anzi piccoli passi e un passo dopo l’altro. E soprattutto la consapevolezza, pur non direttamente esplicitata, che molte scelte del precedente governo risultano non condivisibili e vanno pertanto superate quando possibile. Tra esse assumono evidentemente un ruolo di primo piano i provvedimenti di incremento del prelievo fiscale, soprattutto quelli la cui decorrenza è stata prevista, al momento della loro approvazione, nel corso del mandato del governo in carica.
In sintesi, si può sostenere che il governo Letta abbia trascorso gran parte della fase sin qui trascorsa e speso gran parte delle energie sinora impiegate per sottrarsi agli “asset” negativi dell’eredità lasciata dal governo Monti, in primo luogo l’eredità fiscale. Come una compagnia teatrale che si sia inaspettatamente ritrovata a continuare una recita di cui non condivide aspetti rilevanti del copione e neppure dello scenario che fa da sfondo. E che stia cercando di modificare il testo e di cambiare lo scenario nella maniera più impercettibile possibile per gli spettatori che non capirebbero il cambiamento (mercati, Germania, Ue) e allo stesso tempo nella maniera più evidente possibile per gli spettatori scontenti della precedente recita (cittadini e imprese, accomunati dallo status di contribuenti).
Si tratta palesemente di un compito molto difficile. Ma il peggio del compito consiste nel fatto che il governo dovrebbe anche realizzare riforme profonde che i soggetti che sono stati sopra elencati per primi certamente apprezzerebbero, mentre quelli elencati per secondi probabilmente osteggerebbero. Il governo dovrebbe radicalmente modificare il ruolo, il peso, i meccanismi di funzionamento del settore pubblico. Dovrebbe in sintesi riformare e mettere a posto lo Stato laddove il precedente governo, ritenendolo forse troppo ambizioso, si è limitato a cercare di metterne a posto il solo bilancio. Ma mettere a posto lo Stato implica di rimuovere privilegi e rendite ingiuste, attivando lo scontento e le reazioni dei giustamente danneggiati dal cambiamento.
Alcuni esempi: possiamo ancora permetterci di pagare pensioni elevate che non sono giustificate dai contributi versati durante l’età lavorativa? Possiamo ancora permetterci di conservare le imprese pubbliche, continuando a sottrarle dalle regole del mercato e a difenderle dalla concorrenza? Possiamo continuare a difendere il pubblico impiego indifferentemente dai suoi risultati? Possiamo ancora continuare a finanziare opere pubbliche, grandi o piccole che siano, indipendentemente dal confronto dei loro costi e dei loro benefici?
Se pensiamo di poterlo e doverlo continuare ancora a fare, allora vuol dire che dobbiamo anche continuare a tassare cittadini e imprese con la più alta pressione fiscale di tutti i tempi in tutto il mondo (calcolata sul Pil emerso). Che congiuntamente alla grande recessione degli ultimi anni ha fatto scomparire ogni possibilità di nostra crescita.
Non sembrano esservi vie d’uscita: o si fanno grandi riforme o non si potrà arrestare il declino del Paese. Ma come si possono fare grandi riforme in un Paese in cui il massimo desiderio del maggior numero di cittadini e delle loro organizzazioni e associazioni è il mantenimento dello status quo? Bisogna prima spiegare che lo status quo è indifendibile, che esso porterà al fallimento. Non si può chiedere a una nave debole in un mare in tempesta di stare ferma. Bisogna chiederle di far rotta al più presto su rotte più tranquille e verso porti all’interno dei quali si possa provvedere rapidamente alle riparazioni necessarie.
Riuscirà il governo Letta a convincere gli italiani della necessità di grandi riforme quando i partiti che lo sostengono hanno cercato di vincere le scorse elezioni minimizzando i guai del Paese, cercando di convincere che la situazione era “business as usual”? Non è impossibile, però è molto difficile.