«Per me, Orson è come un poverissimo re. Un poverissimo re non perché sia stato scacciato dal suo regno, ma perché su questa terra, nel modo in cui va il mondo, non c’è un regno abbastanza grande per Orson Welles». Prendendo liberamente lo spunto da questa affermazione del 1982 dell’attrice Jeanne Moreau, potremmo dire che, quando se n’è andato, lo ha fatto come uno dei suoi personaggi preferiti, il più potente frutto del suo amatissimo Shakespeare, quel re Lear che non è mai riuscito ad interpretare se non su di un palco teatrale di New York a metà degli anni Cinquanta: davanti a lui non aveva alcun corpo ormai esanime di nessuna Cordelia ingiustamente strappatagli; eppure, considerandone la parabola artistica, doveva comunque avere patito qualcosa di simile.
Un quarto di secolo fa, nella sua casa di Hollywood, alle prime ore del mattino del 10 ottobre 1985, George Orson Welles moriva in seguito ad un attacco cardiaco mentre si trovava alla macchina da scrivere per stendere alcune note di regia per delle riprese che doveva realizzare quello stesso giorno alla UCLA: aveva appena oltrepassato la soglia dei 70 anni, essendo nato a Kenosha (Wisconsin) il 6 maggio 1915 da Richard Head, inventore dilettante ed erede di una ricca famiglia della Virginia, e da Beatrice Ives, pianista, campionessa di tiro a segno e suffragetta, la cui passione per la cultura avrebbe portato il figlio a contatto con l’arte già in tenera età.
Ricapitolarne nell’occasione la carriera, anche se solo in parte e pur per brevi accenni, attraverso discontinuità e frammentarietà dei diversi tentativi e raggiungimenti, è qualcosa di assolutamente affascinante grazie alla geniale ed inesausta vena creativa che ne traspare solo tentandone un impossibile riassunto. Nel 1918 il giovanissimo Orson calca già le tavole di un palcoscenico: debutta infatti come comparsa in Sansone e Dalilah all’Opera di Chicago, la città nella quale si è da poco trasferito con i genitori (che si separano però l’anno successivo), seguita dall’apparizione in Madame Butterfly.
Nel 1924, pochi giorni dopo il suo nono compleanno, perde la 43enne madre: solo un anno dopo adatta, dirige – è la sua prima regia – e interpreta Il dottor Jekyll e il signor Hyde alla Washington Grade School di Madison (Wisconsin), calandosi poi nei panni, tra gli altri, di Scrooge in un allestimento del dickensiano Un Canto di Natale. Nel 1926 si iscrive alla Todd School for Boys di Woodstock (Illinois), istituto di stampo progressista: si dedica alla recitazione e alla scrittura, continuando a interpretare diversi ruoli in rappresentazioni teatrali (tra cui Doctor Faustus e Giulio Cesare), di alcune delle quali cura anche la regia. Nell’estate 1929 è in viaggio con alcuni amici attraverso l’Europa, tra Inghilterra, Germania, Francia e Italia. Un anno più tardi, all’età di 15 anni, perde anche il padre (con il quale aveva viaggiato in Cina e Giappone), venendo posto sotto la tutela legale del dottor Maurice Bernstein, un amico della madre.
Nel 1931 si diploma alla Todd e frequenta il Chicago Art Institute, per poi partire per un viaggio in Irlanda e nelle isole Aran per dedicarsi alla pittura, arrivando a Dublino dove, spacciandosi per un grande attore newyorkese di 25 anni (!), partecipa a diversi allestimenti indipendenti e produzioni locali fino al 1932. L’anno successivo cerca invano un ingaggio come attore a Londra e New York, viaggiando poi in Marocco e Spagna e finendo a Siviglia a scrivere romanzi gialli commerciali. Rientrato negli Stati Uniti, la Todd School gli finanzia un adattamento de La dodicesima notte.
Nel 1934 realizza The Hearts of Age, il suo primo film, della durata di 5 minuti e firma il suo primo contratto per una trasmissione radiofonica: si tratta di una serie settimanale di radiodrammi per studenti in onda sulla CBS. Nel frattempo convola a nozze con Virginia Nicolson e, nel 1935, inizia la collaborazione alla famosa serie “The March of Time”, cinegiornale che drammatizza gli eventi della settimana.
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Un anno dopo mette in scena ad Harlem un Macbeth in stile vodoo, con attori di colore non professionisti e per di più disoccupati. Nel 1937 dirige il musical politico The Cradle Will Rock di Marc Blitzstein e fonda con John Houseman il Mercury Theatre: la prima opera è un Giulio Cesare in abiti moderni, da lui adattato, diretto e interpretato (è Bruto). Nel 1938 conquista una copertina di “Time” e gli sono dedicati alcuni profili sul “New Yorker” mentre debutta sul canale CBS “Mercury Theatre on the Air”, un programma che cura l’adattamento radiofonico di opere letterarie.
Il 30 ottobre, alle 8 di sera, viene trasmessa La guerra dei mondi di H.G. Wells, che, raccontando in un’ora scarsa di finta radiocronaca l’invasione del New Jersey da parte dei marziani, scatena il panico generale tra milioni di ascoltatori della costa orientale. Nel 1939 a Boston, Washington e Philadelphia allestisce Five Kings, un adattamento dei lavori shakespeariani nei quali compare il personaggio di John Falstaff («È il personaggio cui credo di più»). Quella stessa estate, in seguito al clamore suscitato da La guerra dei mondi, Welles firma un contratto con la RKO Pictures senza precedenti nel mondo del cinema.
Se il suo primo progetto cinematografico (poi abortito) è il Cuore di tenebra conradiano, all’inizio del 1940 ha invece inizio il lavoro per la stesura del soggetto e della sceneggiatura originale del suo primo film intitolato – nella versione definitiva – Citizen Kane, che, un anno dopo e ancora in fase di montaggio, è al centro di una “battaglia” per il suo ispirarsi al magnate della carta stampata William Randolph Hearst, i cui giornali cercano di impedire l’uscita del film, boicottando la RKO e attaccando Welles con accuse di attività sovversiva e comunismo (e sulla base delle quali l’FBI apre un dossier).
Dopo 3 mesi di riprese e 8 di montaggio, Citizen Kane esce finalmente nelle sale nel maggio 1941 e Welles – le cui opere non avranno vita facile d’ora in poi – inizia la produzione de L’orgoglio degli Amberson, di cui in una versione radiofonica del 1939 aveva interpretato la voce narrante e il ruolo del protagonista, completandone le riprese all’inizio del 1942. Mentre è in Sud America per girare il documentario It’s All True, la RKO allontana dagli studi il gruppo del Mercury Theatre, rimontando e rigirando intere scene de L’orgoglio degli Amberson: dai 132 minuti originari si arriva agli 88 minuti dell’edizione definitiva (di cui meno della metà attribuibili a Welles!), mentre le scene tagliate vengono distrutte.
Come scriverà Mark W. Estrin nel 2002 «Welles era all’avanguardia anche per quel che concerne la durata delle singole inquadrature. Cinque anni prima che Hitchcock girasse Nodo alla gola, dove ogni inquadratura dura all’incirca dieci minuti, Welles girò alcune parti dell’Orgoglio degli Amberson con complicati piani sequenza. Il pasticcio che la RKO ricavò dalla pellicola fu ottenuto sintetizzando o tagliando del tutto certe sequenze, e la successiva distruzione da parte dello studio del girato eliminato ha fatto sì che tutto il merito dell’uso del piano sequenza nel cinema degli anni Quaranta sia ancora attribuito a Hitchcock».
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Nel settembre 1943, anno di uscita nelle sale di Terrore sul Mar Nero (da lui interpretato e in parte anche diretto, pur non accreditato nei titoli), Orson Welles sposa in seconde nozze Rita Hayworth. Nel 1946, mentre sta adattando in forma di musical per il teatro Il giro del mondo in 80 giorni con musiche e testi di Cole Porter, Bertolt Brecht gli chiede di dirigere l’edizione americana del suo Galileo: il progetto però non si realizza per via dei debiti contratti per lo spettacolo in allestimento.
Il 2 luglio di quell’anno esce Lo straniero, un’opera secondaria da lui diretta ed interpretata: «Non c’è niente di me in questo film […] l’ho fatto solo per dimostrare che anch’io potevo metter in piedi un film, come chiunque altro». Nel 1948 escono invece altre due sue pellicole: La signora di Shangai (da lui recitato accanto all’allora già ex moglie Rita Hayworth) e un Macbeth a basso costo, girato interamente in studio in soli 23 giorni avvalendosi di quasi tutti gli stessi attori con cui lo ha portato solo di recente a teatro.
Un anno più tardi interpreta Il terzo uomo di Carol Reed, adattato da un racconto di Graham Greene, che vince il Grand Prix al Festival di Cannes. Iniziano quindi in Marocco (passando poi in quasi tutta Italia: Venezia, la Toscana, Roma, Viterbo, Perugia e Torcello) le riprese di Otello, che si protraggono a causa di una cronica mancanza di fondi: «Per tre volte ho dovuto interrompere le riprese, cercare i soldi e ricominciare; cioè, mi si vede guardare fuoricampo a sinistra, e quando si stacca su quello che sto guardando siamo in un altro continente, un anno dopo. E dunque nel film ci sono molti più stacchi di quelli che avrei voluto; non era scritto così, ma ho dovuto farli perché non avevo mai il cast completo a disposizione». Nel 1952 (!) il film, presentato a Cannes, vince la Palma d’oro.
Nel 1954 Welles gira Rapporto confidenziale, che esce nelle sale l’anno successivo: «Uno dei miei film preferiti, probabilmente perché Welles vi utilizza l’intera gamma delle sue doti. Quando gira questo film, con mezzi miserabili, Orson Welles fa cinema da quindici anni e si dà, qui, a una sorta di ricapitolazione della sua opera» ne scriverà François Truffaut nel 1978. Ne sposa in terze nozze la protagonista femminile, l’attrice italiana Paola Mori, ed è a Londra per una sua versione teatrale di Moby Dick.
Inizia poi a lavorare – girando e montando per molti anni tra Messico e Europa – al Don Chisciotte, che resterà però incompiuto. Nel 1956, allestisce, dirigendola e interpretandola, una sfortunata versione di Re Lear a New York mentre in giugno esce nelle sale Moby Dick di John Huston dove Welles interpreta il ruolo di padre Mapple, per il quale – durante la lavorazione del film – si era guadagnato, oltre ai 20.000 dollari del contratto, 5 minuti di applausi da parte dei membri della troupe presenti sul set.
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Nel 1957 gira e monta L’infernale Quinlan, che l’anno dopo è presentato al Festival cinematografico dell’Esposizione Universale di Bruxelles, vincendo il Gran Prix: sempre secondo Truffaut «la macchina da presa piroetta con la foga di un giovane. Ogni inquadratura di questo film rivela l’amore per il cinema e il piacere di farlo. In molti film hollywoodiani sentiamo una musica roboante che si agita e si invola accostata ad immagini disperatamente fisse e statiche. In L’infernale Quinlan assistiamo al fenomeno inverso. […] Negli anni successivi […] l’influenza esercitata da questo film apparirà spesso, ad esempio in Arancia meccanica di Stanley Kubrick». Escono frattanto La lunga estate calda di Martin Ritt e Le radici del cielo di John Huston, entrambi interpretati da Welles, che dirige inoltre The Fountain of Youth, il suo primo film televisivo.
Nel 1959, al Festival di Cannes, insieme agli altri due interpreti Dean Stockwell e Bradford Dillman, riceve il premio per il miglior attore per Frenesia del delitto di Richard Fleischer. In questo periodo è inoltre voce narrante ed interprete di molti altri film, tra i quali l’episodio La ricotta di Pier Paolo Pasolini. Un anno dopo, a Belfast e Dublino, allestisce Chimes at Midnight, un compendio dei lavori shakespeariani dove compare la figura di John Falstaff, una rielaborazione del suo spettacolo del 1939, mentre a Londra dirige Laurence Olivier ne I rinoceronti di Eugène Ionesco.
Nel 1962, durante le riprese de Il processo, tratto dall’omonimo romanzo di Kafka, conosce la sua futura compagna Olga Palinkas (alias Oja Kodar). Nel 1966 escono Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann (dove interpreta il cardinale Wolsey) e Falstaff, versione cinematografica di Chimes at Midnight, mentre gira tra Parigi e Madrid Storia immortale.
A partire dal 1967 mette mano per tre estati ad un nuovo film, The Deep, quasi fino a completarlo ma l’opera non vedrà mai la luce. Un anno dopo Storia immortale viene presentato in Francia sia nei cinema che alla televisione mentre dal 1970 inizia a lavorare ad un nuovo progetto dal sapore decisamente autobiografico, The Other Side of the Wind, che lo impegna fino al 1976, prima di essere abbandonato per via di controversie legali e altri ostacoli, nonostante le riprese siano già state ultimate e gran parte delle sequenze montate. Per quanto è dato di sapere, l’opera – il racconto della storia di un vecchio regista hollywoodiano (interpretato da John Huston) al suo ultimo film – rappresenta, per stile e argomento, la perdita più importante tra le sue “incompiute”.
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Il 15 aprile 1971, nella serata per la consegna degli Oscar 1970, Welles – che, assente, ringrazia il pubblico in collegamento su di un grande schermo – riceve un premio speciale per “la suprema maestria e la versatilità nella creazione di opere cinematografiche”. Nel 1973 gira tra Francia e Stati Uniti F come Falso, che esce l’anno successivo, quando inizia le riprese del documentario Filming “Othello”.
Nel 1975 l’American Film Institute (AFI) gli conferisce il premio alla carriera, il cosiddetto Life Achievement Award: nel discorso di ringraziamento si definisce «uno che rimane, non solo il vostro servitore, ma anche, in quest’epoca di supermercati, la vostra amata drogheria sotto casa». Nel 1979 riceve l’omaggio della Directors Guild of America mentre la televisione tedesca trasmette Filming “Othello” (che aveva aperto il Festival di Berlino).
Nel 1980 inizia le riprese di The Dreamers, tratto dai racconti di Isak Dinesen (pseudonimo di Karen Blixen), destinate a protrarsi negli anni successivi, lasciando l’opera incompiuta. Due anni dopo riceve la nomina a Comandante della Legion d’Onore a Parigi e porta a termine con Oja Kodar la sceneggiatura di The Big Brass Ring, che verrà pubblicata postuma nel 1987 mentre il film vedrà la luce solo nel 1999.
Nel 1984 rivede la sceneggiatura di Rocking the Cradle, che rievoca gli eventi relativi alla produzione dello spettacolo teatrale The Cradle Will Rock nel 1937. I finanziamenti vengono meno e il trattamento apparirà, anch’esso postumo, nel 1994 mentre nel 1999 uscirà The Cradle Will Rock, scritto e diretto da Tim Robbins.
Come ricorderà ancora Truffaut «[i]l vero dramma di Orson Welles […] è di aver passato le sue serate negli ultimi trent’anni con produttori onnipotenti che gli offrivano un sigaro, ma che non gli avrebbero affidato cento metri di pellicola da impressionare. Sono gli stessi che lo hanno ingaggiato trenta volte, forse più, per ruoli di pochi giorni nei quali era “diretto” (!) da registi dieci volte meno dotati di lui».
Ma l’epitaffio più bello è quello di Jean Cocteau, che così lo ha descritto: «Un albero pieno di uccelli e di ombre, un cane che ha rotto la catena e dorme nelle aiuole, un pigro attivo, un folle saggio, una solitudine circondata di gente, uno studente che dorme in classe, uno stratega che fa finta di essere ubriaco quando vuole che lo si lasci in pace». In due sole parole: Orson Welles.