«Le condizioni cui sono subordinati gli aiuti da parte del Gondo salva-Stati e della Bce non devono essere necessariamente punitive, anzi spesso si tratta di condizioni “pro-crescita” come le riforme strutturali». Così parlò Mario Draghi, aggiungendo candidamente che «in Spagna sono stati fatti notevoli progressi, ma ci sono ancora problemi». Ma pensa! E chi lo avrebbe detto che a Madrid hanno qualche rognetta, stante i brillanti risultati degli stress test bancari di quel genio dell’umorismo di Wyman. E ancora. «Il programma di acquisto dei titoli di Stato è pronto e sta ai Governi chiederlo. Il piano ci permetterà di evitare sfide potenzialmente gravi per la stabilità dei prezzi e siamo strettamente nel nostro mandato. I programmi di acquisto di titoli di Stato verranno attuati in coerenza con l’obiettivo della stabilità finanziaria e verranno interrotti solo una volta che gli obiettivi saranno raggiunti». Come dire, pur avendo uno stato patrimoniale da hedge fund insolvente e con una leva che sfiora la ratio 1:30, la Bce è pronta ad acquistare bonds per placare i mercati: ovviamente, in cambio vuole la sovranità spagnola.
Ma andiamo avanti. A detta di Draghi, infatti, il programma di acquisto Omt «non sostituisce l’accesso degli Stati ai mercati e non si applica ai Paesi già sotto aiuto, a meno che questi Paesi non abbiamo riguadagnato l’accesso al mercato primario dei titoli di Stato». Quindi, solo l’Irlanda, se mai volesse (e ne dubito). Il problema è che Draghi dice ciò che gli fa comodo dire in favore di microfoni e telecamere, non la verità. L’eurozona, infatti, sta considerando l’ipotesi di aiutare la Spagna offrendo un’assicurazione agli investitori che comprano bonds governativi, una mossa a dir poco azzardata che servirebbe – nelle intenzioni – a mantenere l’accesso della Spagna ai mercati di capitale e minimizzare il costo dell’operazione per i contribuenti europei.
Il piano, infatti, prevedrebbe un esborso di 50 miliardi di euro per un anno e permetterebbe alla Spagna di coprire le sue necessità di finanziamento e di dare l’avvio all’acquisto di bonds da parte della Bce sul mercato secondario. Insomma, se tutto andrà come deve andare, la Spagna sarà salvata senza dover utilizzare tutto il denaro del Fondo salva-Stati e non ci sarà contagio all’Italia.
In base a questo piano, che sarebbe frutto della volontà politica di Roma, Parigi, Berlino e Madrid, il fondo Esm garantirebbe il primo 20% o 30% di ogni nuova emissione di bonds spagnoli. Insomma, siamo al Leviatano totale, all’annullamento del concetto stesso di mercato, di rating del credito e di investment grade. Ma perché un azzardo tale? Semplice, perché la Germania sta ponendo silenziosamente e sottotraccia condizioni davvero capestro per i Paesi che intendono accedere al programma di acquisto della Bce e perché la situazione portoghese sta prendendo una piega greca, sempre più rapida.
Come anticipato da ilsussidiario.net la scorsa settimana, la situazione di Lisbona sta arrivando al redde rationem, stante gli effetti ulteriormente depressivi delle politiche di austerity imposte al governo lusitano dalla troika. L’altro ieri l’agenzia portoghese per il debito Igcp ha infatti offerto con successo di scambiare bond con scadenza a due anni per securities con maturazione a tre anni nel tentativo di riconquistare l’accesso al mercato del debito a lungo termine. L’agenzia governativa ha comprato bonds con scadenza settembre 2013 e yield al 5,45% e venduto bonds con maturazione ottobre 2015 a un rendimento del 3,35%, uno yield mossosi di poco al rialzo (3,60%) l’altra mattina a Londra a ridosso dell’orario di offerta, fissato alle 10:30.
Il Portogallo va incontro a scadenze di circa 10 miliardi di euro a settembre 2013 senza poter contare sul programma di salvataggio europeo, la cui durata è prevista fino alla metà del 2014. Il problema maggiore per Lisbona è che dall’attivazione del salvataggio, aprile 2011, ha continuato a vendere debito a breve scadenza ma non bonds, quindi un concambio favorevole ridurrà l’ammontare necessario per coprire le scadenze e potrebbe riportare un minimo di fiducia negli investitori.
Missione compiuta, apparentemente, visto che questo mini-swap volontario su circa il 30% dell’ammontare – il concambio ha avuto un valore di 3,75 miliardi di euro – potrebbe facilitare una compressione dello spread, al netto di una riduzione delle maturazioni del prossimo anno del 39%, da 9,7 miliardi a 5,98. Anche perché gli investitori internazionali hanno abbandonato quasi del tutto il debito lusitano, ormai in mano a banche, assicurazioni e fondi pensioni interni: in un tale situazione appare inevitabile cominciare un graduale processo di rientro sul mercato – ancorché attraverso uno swap -, visto che in base al programma di salvataggio Lisbona dovrà recuperare l’accesso al finanziamento privato del debito nel settembre del prossimo anno.
Insomma, attendere ancora e ritrovarsi a dover passare da zero a mille nell’arco di una notte sarebbe stato suicida e potenzialmente molto simile al processo che ha portato al fallimento di fatto dello swap greco. Prossimo passo, concordato con il Fmi, sarebbe poi l’emissione di debito a medio termine – da un anno a un massimo di cinque – verso creditori specifici, ulteriore step del piano di riabilitazione di Lisbona presso i mercati. Al netto dei nuovi tagli salariali e del nuovo rialzo delle imposte presentato sempre mercoledì dal ministro delle Finanze, Vitor Gaspar, per tamponare il mancato introito che il governo intendeva incassare dalla cosiddetta “svalutazione fiscale”, bocciata però dal Consiglio di Stato, si cerca una scappatoia dalle forche caudine del finanziamento, stante anche il downgrade operato a gennaio sia da Standard&Poor’s che da Fitch del rating di credito lusitano, ora a livello junk, cioè senza investment grade.
Questo nonostante gli indici curati da Bloomberg su 26 mercati tracciati, vedano proprio il debito lusitano come il meglio performante per gli investitori con un ritorno del 44%, inclusi gli interessi reinvestiti, contro il 25% di quello irlandese e solo 3,2% dei Bund tedeschi nel 2012: insomma, roba da vulture funds – i fondi avvoltoi che speculano sul distressed debt che nessuno vuole -, visto anche l’ammontare del debito portoghese emesso sotto legislazione britannica, ovvero quello che garantisce al massimo i detentori di bonds governativi. Ma con un debito pubblico destinato a schizzare sopra al 124% del Pil e dati macro aggravati dalle politiche del governo, la scelta del governo lusitano appare sempre più la prova generale di come i mercati accoglierebbero una seconda ristrutturazione del debito nell’Ue, dopo quella greca, per almeno un 60-70% del totale.
Una cosa è certa: se questo sarà l’epilogo, sarà guerra sul coinvolgimento o meno della Bce e sulla seniority del debito lusitano che detiene. Una prospettiva già vista in Irlanda ma con qualche, serio, rischio in più, stante l’esposizione delle banche spagnole – 78,8 miliardi di euro – al Portogallo. Anche perché, guarda caso, ieri Mario Draghi si è affrettato a sottolineare che per quanto riguarda il debito greco, «un allungamento delle scadenze sul debito greco in mano alla Bce equivarrebbe al finanziamento monetario», chiudendo di fatto la porta a tale ipotesi.
Insomma, una nuova bugia che Draghi è stato costretto a svelare ai mercati: nessun futuro acquisto di bonds sarà pari passu. Attenzione, si sta giocando un po’ troppo con la pazienza di chi investe e di chi specula, pur di consentire a Rajoy di prendere tempo e non chiedere un salvataggio su larga scala. Il placebo della Bce sta perdendo vigore, gli hedge funds stanno riposizionandosi, abbandonando il mercato azionario e gettandosi sugli Etf. Qualcosa bolle in pentola. E lo swap portoghese ne è la riprova, altro che mini-test di rientro sui mercati.