L’economia di mercato ha molti problemi. L’eccesso di finanza, la mancanza di regole, la supremazia del denaro, sono tutti elementi che stanno alla base della crisi degli ultimi anni creando una condizione di fondo da cui appare sempre più difficile uscire. E così dopo aver certificato nel secolo scorso il fallimento dei sistemi comunisti sembra quasi ora di dover assistere alla caduta del sistema economico chiamato “capitalismo”.
In realtà, una semplificazione di questo tipo non è solo eccessiva: è anche particolarmente fuorviante. Soprattutto perché è fortemente approssimativo parlare di “capitalismo”: ogni Paese a economia di mercato si è dato infatti progressivamente una serie di regole, di vincoli, di procedure che hanno in qualche modo delineato modelli particolari di sistema economico. In Italia, per esempio, almeno fino alle privatizzazioni degli anni ’90 più di metà del sistema produttivo e la quasi totalità del sistema finanziario erano controllate direttamente o indirettamente dallo Stato.
“L’economia di mercato – ha osservato in uno dei suoi primi discorsi a Milano il card. Angelo Scola – non è un dato di natura, ma una dimensione scelta e costruita dall’uomo e quindi un dato di cultura”. Non ci sono regole scritte nel marmo, non ci sono modelli da seguire astrattamente: in ogni società la dimensione economica ha avuto un’evoluzione progressiva dettata dalle scelte della politica e, naturalmente, anche dai condizionamenti esterni. Eppure le regole che sono state imposte al mercato non sono state in grado di evitare drammi sociali, come quello della disoccupazione, palesi ingiustizie, come la povertà in larghe parti del mondo, speculazioni finanziarie, come quelle che stanno mettendo a dura prova la moneta unica europea.
Forse perché si è cercato di forzare il mercato, invece di renderlo più efficiente. E soprattutto non si è dato spazio a logiche di condivisione e di dono capaci, come ha sottolineato con forza l’enciclica “Caritas in veritate”, di dare un senso e un valore alla realtà economica. In questa prospettiva appare di grande interesse il dialogo raccolto nel libro “Il dono e lo scambio” (Ed. Rubbettino, pagg. 90, € 10) tra il filosofo Dario Antiseri e il sacerdote Giacomo Panizza.
Ne emerge infatti un’analisi insieme culturale e sociale dell’evoluzione del pensiero economico con particolare approfondimento delle teorie liberali da parte di Antiseri e con una ricostruzione dell’impegno sociale dei cattolici da parte di don Panizza. Pur partendo da prospettive differenti appare quasi una linea guida unitaria sullo sfondo: non c’è contraddizione tra mercato e giustizia sociale, anzi un mercato che funzioni bene, quindi che sappia valorizzare le potenzialità di ciascuno, è anche capace di produrre la ricchezza necessaria a colmare almeno in parte le disuguaglianze.
Si tratta quindi di sfuggire alla tentazione di voler correggere il mercato, mentre si deve andare oltre il mercato con provvedimenti, come il salario minimo per tutti, che diventano possibili solo se vengono prodotte le risorse necessarie a essere ridistribuite. Le regole di cui il mercato ha bisogno devono quindi essere regole capaci non di limitare, ma di garantire e proteggere quella libertà economica che è il fondamento di ogni altra libertà. Ma la vera libertà è possibile solo se viene valorizzata la responsabilità di ciascuno, se le scelte derivano anche da una prospettiva di carità e solidarietà. Il mercato è come un campo da calcio: i veri protagonisti sono le squadre che vi giocano. Senza dimenticare l’arbitro.