Bernard Arnault tratta l’acquisto di Le Parisien e non può non intrigare chi s’interessa di “giornali”: come per ora si chiamano ancora in Europa, l’Europa del patron di Lvmh, di casa anche di qua delle Alpi. Arnault già anni fa si è comprato Les Echos primo quotidiano economico francese, messo in vendita da Thomson Reuters, editrice di Financial Times ed Economist. Il caso fece rumore perché la redazione di Les Echos reagì duramente alla prospettiva di un proprietario nazionale, mentre l’intellighenzia parigina si sollevò contro l’intraprendenza del tycoon di Louis Vuitton, del Moet Chandon, di Fendi, Givenchy e molto altro luxury. Ma Arnault non si fermò: sborsò 240 milioni di euro e rivendette (sempre in Francia) la Tribune, più piccolo concorrente dello stesso Echos. Nel 2014 Les Echos è tornato in utile operativo, dopo aver sempre aumentato il fatturato (di cui oggi il 25% deriva dal “numerique”).
Ora vuole un quotidiano locale, o meglio: vuole il marchio del principale quotidiano cittadino di Parigi (dotato dell’edizione nazionale Aujourd’hui en France). Ancora una volta è pronto a sborsere soldi veri (una cinquantina di milioni di euro): rilevando Le Parisien da una proprietà familiare. Ancora una volta – dietro le mosse del finanziere-imprenditore di tutto ciò che è “immateriale” – s’intravvede un’idea: che i giornali di un paese come la Francia e di una capitale globale come Parigi mantengano un valore, economico e politico. E se le banche sono un po’ passate di moda ovunque come proprietari strategici, se l’Europa è priva di un Jeff Bezos che dalla Silicon Valley si compra il Washington Post, nel Vecchio Continente è sempre l’ora dei grandi mogul del fashion. Forse non c’è Pierre Bergé – ex partner di Yves di Saint Laurent – fra coloro che hanno investito in Le Monde e nel Nouvel Observateur.
Troppo facile, troppo scontato provare qualche parallelo con l’editoria giornalistica italiana, non meno in crisi di quella francese, non meno bisgnosa di capitali freschi e ristrutturazioni d’impresa. Però tant’è: solo Diego Della Valle ha tentato – ripetutamente e senza successo – di farsi largo nella foresta pietrificata degli editori tradizionali. il milanese Giorgio Armani ha fatto mecenatismo imprenditoriale con la storica squadra di pallacanestro della sua città ma non ha mai pensato ai media, old o new che fossero. I Benetton si sono ritrovati quasi per caso in mano la proprietà del Gazzettino, principale quotidiano del Nordest, ma l’hanno presto rivenduto al costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone.
Gli Agnelli di quarta generazione – proprietari della Ferrari – si stanno allontanando dalla Fiat e vorrebbero muoversi da capitalisti con l’allure che mancherà ancora a lungo a qualsiasi fondo sovrano del Golfo: ma se c’è qualcosa di cui si stanno disinteressando è il loro giornale, della loro città, che resta poi uno storico quotidiano nazionale. Leonardo Del Vecchio ha portato nel mondo il “lusso povero” dell’occhiale cadorino diventando probabilmente l’italiano oggi più ricco: ma si è sempre tenuto alla lontana dai giornali. Solo Valentino si è fuso, tanti anni fa, con Hdp, editrice del Corriere della Sera. Il suo brand, naturalmente, è oggi di proprietà di Mayhoola, il fondo della sorella dell’emiro del Qatar. Il Corriere della Sera è invece ancora un quotidiano italiano.