Esodati. Si sta preparando il sesto intervento di salvaguardia. Se il governo non avesse chiesto e ottenuto un rinvio tecnico, a lunedì prossimo, un progetto di legge multipartisan (nessuna forza politica ha voluto essere da meno) sarebbe già in aula da ieri. Dopo questo incipit, sarà opportuno raccontare la storia per intero. Il punto di partenza è collocato nella commissione Lavoro della Camera, presieduta con polso fermo da Cesare Damiano, uno dei pochi leader del Pd che non si è ancora arreso a Matteo Renzi e alla sua combriccola. Contando su di una solida maggioranza in Commissione (il Pd ha 21 componenti su 46, a cui basta aggiungere i deputati di Sel), Damiano aveva già creato problemi in sede di conversione del decreto Poletti sui contratti a termine e l’apprendistato. Nel caso degli esodati Cesare Damiano ha potuto avvalersi dell’appoggio di tutti i gruppi, compresi quelli di opposizione, che hanno presentato progetti di legge, prima abbinati, poi unificati in un testo base.
A scorrere il progetto (AC 224 e abb.) si ha l’impressione che gli esodati c’entrino come i cavoli a merenda. Tanto per fare degli esempi che non risolvono l’intera casistica: viene proposta l’abrogazione dell’adeguamento automatico alla speranza di vita nei confronti delle lavoratrici che accedono al regime sperimentale previsto fino a tutto il 2015; viene introdotta una deroga dall’applicazione dei nuovi requisiti di accesso e decorrenza al pensionamento previsti dalla riforma Fornero del 2011 in presenza del requisito di 15 anni di contribuzione al 31/12/1992 ovvero per coloro che anteriormente a tale data erano stati ammessi alla prosecuzione volontaria; viene proposta l’eliminazione della modesta penalizzazione economica prevista per chi ricorre al trattamento anticipato prima dei 62 anni di età; viene riconosciuta piena validità agli accordi di esubero, stipulati entro la fine del 2011, anche in sede non governativa e anche con l’utilizzo degli ammortizzatori in deroga. Ma la norma più discutibile riguarda l’introduzione di una nuova categoria di salvaguardati: i lavoratori con contratto a tempo determinato cessati dal lavoro tra il 2007 e il 2011 non rioccupati a tempo indeterminato che raggiungano le decorrenze previgenti la legge n.241/2011 entro 36 mesi dalla sua entrata in vigore.
Per fortuna, il progetto è stato stroncato, in sede di relazione tecnica (“verificata negativamente”), dalla Ragioneria dello Stato e dall’Inps. Il costo cumulato (2014-2025) del progetto è stato valutato nell’ordine di 47 miliardi (partendo da 2,8 miliardi nell’anno in corso che salirebbero al picco di 8,8 miliardi nel 2018). Così si è dovuto fare di “necessità virtù” e seguire il solito copione che la commissione Lavoro della Camera interpreta fin dalla passata legislatura: sparare alle stelle, per accontentarsi poi di ciò che passa il convento. Si è scoperto, infatti, che la seconda e la quinta operazione di salvaguardia sarebbero state sopravvalutate nel fabbisogno e quindi negli stanziamenti. Ne consegue che i relativi risparmi potrebbero confluire nel fondo di solidarietà istituito a favore degli esodati nella legge di stabilità per il 2013 proprio allo scopo di poter utilizzare eventuali risorse eccedenti prima che finiscano “in economia”. Si cerca di far bastare questi avanzi di gestione almeno per prorogare di un anno (al 6 gennaio 2016) il perimetro all’interno del quale è operante la salvaguardia (ovvero il mantenimento delle regole precedenti la riforma del 2011).
Se vi sarà così il sesto intervento di salvaguardia – dalla fine del 2011 a oggi – vorrà dire che, a regime, saranno destinati a questo obiettivo una dozzina di miliardi cumulati per circa 150mila interessati. Sia chiaro: nessuno mette in discussione la necessità di tutelare dei lavoratori non più giovani, usciti per varie ragioni dal mercato del lavoro, che, per effetto delle nuove regole, rischiano di restare privi di reddito senza poter varcare la soglia di accesso alla pensione. È discutibile, tuttavia, che persino un governo che fa del giovanilismo più smaccato la sua bandiera finisca per dedicare tempo e risorse soltanto a favore di coloro che sono a un passo dalla pensione e non si preoccupi ancora di impostare, con la gradualità del caso, un modello di pensionamento sostenibile e adeguato per i giovani di oggi e pensionati di domani.