Dopo un’altra settimana da incubo per i mercati finanziari, moltissimi titoli quotati sono precipitati a livelli che non si vedevano da anni tra lo sgomento degli investitori che hanno assistito ancora una volta impotenti all’ennesimo show negativo delle borse internazionali.
Dopo le voragini emerse nei bilanci delle principali banche europee e americane con annesse svalutazioni e aumenti di capitale, nell’ultima settimana sono cresciute le preoccupazioni sulla crescita delle economie emergenti da sempre considerate l’ultimo baluardo alla recessione globale e sulla salute dell’economia reale che verrà messa duramente alla prova nei prossimi mesi.
Preso atto degli sforzi già fatti dalle istituzioni per salvare il sistema bancario e ancora di più della chiara volontà dei governi di evitare a ogni costo il suo tracollo, appare sempre più chiaro che il terremoto finanziario si ripercuoterà inevitabilmente sulle famiglie e sulle imprese per un periodo e con una forza che al momento nessuno è in grado di stimare.
Il mercato ha potuto toccare con mano le conseguenze della crisi con la presentazione della trimestrale di Fiat in cui con una prova di rara diplomazia il gruppo ha di fatto annunciato che non sarà in grado di rispettare i target del piano nel 2009. Più precisamente nel comunicato stampa diffuso con la presentazione dei risultati del terzo trimestre, Fiat ha dichiarato che: è molto difficile dare un’indicazione attendibile della performance del gruppo per il 2009; che si dovrà convivere con una forte incertezza del mercato almeno per tutto il primo semestre del 2009 e che verranno forniti aggiornamenti sui risultati attesi per il 2009 su base trimestrale.
Dopo queste premesse tranquillizzanti arriva una simulazione in cui si ipotizzano le conseguenze, in termini di risultato della gestione ordinaria, di un calo della domanda compreso tra il 10% e il 20% per i prodotti Fiat. Non bisogna essere dei raider per capire che è quest’ultimo numero il contenuto più significativo delle 30 pagine di comunicato stampa; e nemmeno occorre essere degli esperti per intuire che, in uno scenario di questo tipo e considerata una maggiore tenuta di CNH, l’auto potrebbe soffrire cali delle vendite ancora più pronunciati.
Se nemmeno uno dei principali produttori di auto europei è in grado di fare stime oltre il trimestre e se ritiene ragionevole un periodo di almeno 7/8 mesi di forte incertezza si arriva presto a comprendere quanto succede ogni giorno sulle borse.
Si capisce inoltre quale sia lo scenario economico che con ogni probabilità attende le imprese e i Governi. Le prime dovranno arrendersi all’idea che ogni previsione fatta nei mesi passati ha perso qualsiasi validità e che è lecito attendersi un calo deciso dei consumi, i secondi dovranno correre ai ripari per aiutare il sistema economico a reggere il contraccolpo della crisi finanziaria.
È questa la sfida cui si deve rispondere nel modo più efficace e veloce possibile. Gli sforzi fatti per salvaguardare le banche si rivelerebbero vani di fronte a un progressivo e drammatico indebolimento dei consumi e degli investimenti. Tutto quello che si riuscirà a fare per proteggere famiglie e imprese sarà un aiuto per risollevarsi dalla crisi attuale e in definitiva sarà la migliore medicina per l’industria finanziaria.
Alle discussioni sul modo migliore per salvare le banche si devono aggiungere riflessioni su quanto bisogna fare per rendere il più breve possibile il periodo di recessione che abbiamo di fronte. Anche in questo caso gli interventi che si decideranno avranno impatti importanti i cui effetti potrebbero durare per molti anni. Privilegiare la grande industria piuttosto che le Pmi, investire in un certo settore, usare determinati incentivi o garantire i redditi di una categoria piuttosto che di altre non sono interventi equivalenti.
Per l’Italia questo contesto economico assume significati ancora più decisivi dato che (come appare oggi evidente) è uno dei pochi Paesi europei ad avere conservato un’importante industria manifatturiera. Non abbiamo costruito sul boom immobiliare, né abbiamo scelto di diventare la capitale della finanza e non abbiamo certo vissuto sui successi dell’impresa di Stato. Questo, insieme all’alto tasso di risparmio, ci pone in una situazione diversa da quella di molti altri Stati europei.
È certo che non saremo un’isola felice immune dal contagio della crisi finanziaria che colpirà molto seriamente anche da questa parte delle Alpi, ma forse possiamo partire per una volta avvantaggiati e recuperare posizioni a patto che si scelga di privilegiare solo chi lo merita e può generare benessere per tutti.