Ventiquattr’ore prima del Consiglio dei ministri di ieri sera, il viceministro dell’Economia Enrico Morando gettava acqua gelida sul fuoco bollente di attese – nel settore bancario e in Borsa – per l’intervento etichettato come “bad bank”. Poco importava che giovedì scorso, al congresso dell’Acri (cioè delle Fondazioni grandi azioniste di mezzo sistema creditizio), lo stesso Morando avesse spergiurato che il provvedimento era quasi pronto. Tutto – era stato costretto a precisare Morando alla vigilia del Cdm – era rinviato alla costruzione della legge di stabilità 2016, o meglio: “Manca ancora la copertura”, aveva ammesso lunedì sera il vice di Piercarlo Padoan al Tesoro.
Ieri sera, puntualmente, il via libera alla deducibilità annuale integrale di svalutazioni e perdite su crediti da parte di banche e assicurazioni è stato l’unico parto di un Consiglio annunciato come “iper-riformista”, pronto a consegnare “sei decreti”, nientemeno che l’esercizio della delega fiscale, a cominciare dalla riforma del catasto. Tant’è: il renzismo è questo, tutto questo, nient’altro che questo. Cinque mesi fa, overnight, Palazzo Chigi mandò all’inferno le maggiori Popolari (e la Borsa festeggiò); ieri sera ha lanciato loro – ma non solo a loro – un salvagente gonfiato con chi sa cosa (le risorse per coprire il minor gettito fiscale dalla banche al momento non ci sono). La Borsa, nel frattempo, ha già ricominciato a festeggiare, ma questo è un altro discorso: chissà se la Consob indagherà in tempo reale su quanti – a Milano o a Londra – hanno rastrellato azioni bancarie alleggerite per decreto di 180 miliardi di sofferenze creditizie.
Se lo stile politico del premier non ha più bisogno di commenti, i post-it gialli all’ennesimo intervento bancario “per decreto” non sono pochi. Il primo è l’indubitabile “zuccherone” che Renzi ha rilanciato alle Fondazioni bancarie dopo averle costrette lo scorso fine settimana a ingoiare bocconi amarissimi sul ribaltone in Cdp. E non è affatto banale che – al momento di decidere – il governo abbia accantonato il progetto di “bad bank” in senso stretto, optando per gli abbattimenti diretti dei “bad loans” nei singoli bilanci. La “bad bank” (contenitore-purgatorio unico per tutte le sofferenze del sistema) avrebbe necessitato quasi certamente di un investimento da parte della Cdp: avrebbe segnato il primo “cambio di missione” che Renzi vuole associare al cambio autoritativo del vertice. Sarebbe stato il primo pretesto per confermare le obiezioni delle Fondazioni, preoccupate dei loro dividendi dalla Cassa. Invece – almeno stando alle indicazioni di ieri sera – per niente versamenti di sangue Cdp alla pulizia dei bilanci bancari: i quali, invece, potranno essere egualmente puliti in regime di agevolazione fiscale (e al diavolo, par di capire, le possibili obiezioni della Ue su presunti aiuti di Stato). In più è stato raccolto un suggerimento giunto recentemente sulle colonne di “Repubblica” da Alessandro Penati: economista di mercato, ma anche capo di Polaris, la Sgr che ha in gestione il grosso del patrimonio finanziario della Fondazione Cariplo. “No alla bad bank, che toglie trasparenza ai fardelli di sofferenze generati dai singoli gruppi”. In concreto: perché la Fondazione Cariplo – o un’altra Fondazione socia di Intesa Sanpaolo o UniCredit, che hanno già provveduto in proprio a smaltire i crediti problematici – devono pagare via Cdp le perdite su crediti di altri gruppi?
Questo premesso – e salvo approfondimenti tecnici – la notizia appiccicata al “decreto bad loans” è una sola: il nuovo risiko bancario può cominciare. Fino a che non vi fosse stata certezza sulla possibilità di scaricare tutte le scorie accumulate nei conti bancari dalla mega-recessione, nessuno si sarebbe mai avvicinato a Mps; nessuna Popolare avrebbe mai realmente avviato la ricerca di soci stabili per il nocciolo duro post-trasformazione in Spa; nessuna Popolare avrebbe iniziato colloqui di fusione con un’altra Popolare; nessuna Fondazione avrebbe mai preso in considerazione un intervento in una Popolare. Da oggi tutto questo non è solo possibile: è obbligatorio. Il solito Renzi ha realizzato che aver commissariato la Banca Etruria di Arezzo gli è costato un sindaco di capoluogo Pd nella sua Toscana, ma soprattutto la moltiplicazione della cattiva fama (spesso strumentale) che circonda le banche italiane assediate dagli ispettori Bce. Non ci possiamo più permetterci (non vogliamo più concedere) giornate nere come quelle della pubblicazione dello stress test di ottobre.
Nel “tutti contro tutti” dell’Europa di oggi, bellezze, Renzi ha nuovamente giocato d’azzardo con un decreto che chissà che fine farà fra sessanta giorni, fra Roma e Bruxelles. Ma intanto banche e Fondazioni possono ringraziare: e se non lo faranno per davvero, stavolta sarà colpa loro. E il premier potrà sempre affermare di aver dato loro un’ultima occasione, a costo di suscitare le nuove ire di quel 25% di italiani che continua a votare Beppe Grillo.